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POESIE
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Filippo Bozzali

Le Poesie Dialettali
di Filippo Bozzali



La musica è quella che sai

E’ di notte che tutto ritorna.
Emozioni soffiate da un filo di voce
che il frastuono non copre.
La senti? …dicevi.
La sento ogni notte da allora.
La sento anche adesso
che scrivo parole che tu leggerai.
Parole che sanno di pelle bagnata di noi.
Parole materia.. materia parlata..
parole che lasciano addosso
sapori di intima lotta.
Quadretti di risa e sospiri,
finestre che il soffio spalanca,
balconi socchiusi
da dove ogni notte ti liberi in volo.
E tutto ritorna, di notte:
dall’ultima, accesa a distanza
con unica fiamma,
a mani che stringono fianchi,
a schiene inarcate,
a spalle percorse da labbra.
La senti? …dicevi.
E’ tuo il sapore di queste parole..
La musica è quella che sai.





Ti chiamerò malinconia

La pietra che tu stesso hai levigato
- e che rilancio a te,
perché muta sprofondi
nel grembo tuo melmoso -
custodirà per sempre,
scolpiti con il pianto,
i segreti di un bimbo oramai uomo,
i ricordi di un vecchio mai bambino.
Il silenzio del lago mi stordisce.
Liberato da un urlo
infine mi rivedo in te riflesso.
Un nome voglio darti, il nome mio:
ti chiamerò Malinconia






Dentro i miei occhi chiusi


Dentro gli occhi, amore mio
ad occhi chiusi ti guarderò
e seguirò la traccia, percorrerò il sentiero,
discosterò le spine dei rovi impenetrati;
a mani nude, amore, sgretolerò quel muro
impastato di pianto, dolore e buio;
squarcio la ragnatela, velo di morte quiete,
che il tempo ragno sopra i ricordi tesse 
e infine apparirà, lucente di emozione
la grotta del tesoro, tesoro nel tesoro.
Dentro i miei occhi chiusi, amore mio,
rinascerà il tuo giorno.
 





In non sogno.

E ti ritrovo dentro i miei pensieri,
vestita di vapori, e tu vapore.
Sospesa te ne stai, quasi in non sogno,
sinuosa e fluttuante evanescenza
corposa e fluorescente fatuità.
Svegliami, prima ch'io prenda sonno
e chiedimi dei sogni che non feci.
Ti parlerò di me, se non mi ascolti,
quanto di me sconosco, lo saprai.
Starai con me lo spazio di un sospiro
con me vivrai il tempo che rimane:
rimane sempre tempo, se non vivi.
Svegliami, prima ch'io prenda sonno
ché il mio sospiro e il tuo copra lo spazio
di quel non sogno.
In quel nostro non tempo.






Radici senza sepoltura

Era Inverno, e di notte
impietosa la tempesta
decise di strapparmi dalla terra
fredda di neve, dura di gramigna:
era ora ch'io partissi ruzzolando
per un viaggio senza invito.
Smussai cadendo zigomi e spuntoni,
cozzando pietre di me assai più dure,
franate vite prima, e imprigionate
da artigli maestosi dell'ulivo
che l'uomo, seppi poi, chiama radici.
A lungo rotolai per il dirupo;
provai dolore e più ne causai
e mai avrei pensato
di ritrovarmi sasso in mezzo ai sassi.
E l'onda che mi bagna e mi solleva
al suo levare lascia intatto il peso.
Fossile di me stesso, baratto
contro vento le emozioni.
E l'onda che mi bagna e mi sprofonda
al suo levare lascia addosso il sale.





Sicilianitudine

Scrivo silenzi
e ne sottolineo le pause.
Pause di silenzio
nel silenzio:
ululati dell'anima,
primitivi richiami
a femmina di lupo.
Musica di parole muta,
note di nettare,
spartiti di pelle,
invisibili archetti
da viole senza corde
magicamente traggono.
Scrivo silenzi urlando
nella mia lingua madre.
Urla di arcaici silenzi.
Parola scritta. Una.
Sicilianitudine.






Bambino tuo


...e sono qua,
rinchiuso nella notte.
E' un alibi la febbre,
il freddo nelle ossa è un'illusione.
Del bambino ho solo i piedi nudi,
non un abbraccio
né un seno caldo su cui respirare.
Antiche nenie cullano il silenzio
di questa fredda notte siciliana:
ricordo cantilene arabeggianti
parole ripetute senza fine.
E sento la tua voce, il tuo respiro,
vedo i tuoi occhi, lucidi d'amore,
mentre accarezzi piano il tuo bambino
e stringi la sua testa sul tuo seno.
Ritrovo il tuo calore, il tuo profumo,
onda di miele, balsamo, emozione.
E un po' bambino tuo
mi sento anch'io.






Datemi una parola

Datemi una parola, amici miei:
vorrei metterla in fila, assieme ad altre,
magari senza rima, seguendo canovacci
che nulla hanno a vedere col mio stile.
Magari una parola che v'avanza,
di quelle che non sai proprio che farne.
A volte basta poco, un niente, un nulla
e ti si apre un mondo sconosciuto
fatto di strane luci, ardenti odori,
ricordi di un futuro attraversato
da guizzi di un passato mai vissuto.
Vorrei provare a scrivere, stasera,
partendo da un boato silenzioso.
Non servono assonanze e profusioni:
amore, cuore, rosa, luna e stelle,
lasciamoli ai poeti benedetti,
ai vati inariditi dal belletto.
Cercate tra gli scarti della mente
o negli anfratti dei pensieri cupi,
la voglio nuda, cruda e ancora nuda,
amara come il miele di cicuta
e come il fiele dolce, viva, vera.
Datemi una parola, amici miei:
vorrei poterne fare poesia
da dare in dono a noi, perduta gente.





Dammi il tempo

Dammi il tempo di capire
dove corrono i miei giorni
e perché,
quando già sanno
che la corsa finirà
nel traguardo della notte.
Dammi il tempo di capire
se la notte è una vittoria
e perché,
quando già sai
che la notte finirà
in un giorno che ti corre.
Vorrei avere ancora il tempo
di far correre la notte.
Non importa se il traguardo
sarà il giorno col suo sole
o la luna della morte.
L'importante sia vittoria.




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9 Agosto 2006
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