Circolo Culturale il Gattopardo
|
|||||||||||
HOME PAGE | IL GATTOPARDO | POESIE | RACCONTI | DIALETTALI | CONCORSI | LIBRI | GLI AUTORI | NEWS ARTE | INFO | CONTATTI | LINK |
POESIE
|
|
Vittorio Fioravanti |
A P P A S S I O N A T A M E N T E
Nella scia d'ombra lasciata dietro i miei passi rinchiuso nell'angolo oscuro raggiunto sfinito rappreso resto come un ragno estinto ramificato nell'estremo lembo di spazio d'un infinito finito Ho appreso a morire da sempre nell'orgasmo e la piaga fuori e dentro di me Appena ieri ero gli occhi colmi di carni e colori visioni di forme e di gesti Ero il sapore raccolto sulla bruna pelle umida delle amanti ero l'ansia e la febbre ero io Una vita bevuta a sorsi a braccia aperte in discesa incalzato dal vento dei giorni dei mesi e degli anni Un'esistenza sfilacciata e stinta nell'uragano del tempo appassionatamente Occasioni perse e a stento riprese tra le dita ormai sospinto sull'orlo del baratro inevitabile come una pietra rotolata giù per torrenti violenti trascinata nel letto di larghi fiumi in piena gettata e rigettata sugli scogli insabbiata lungo i fondali sul limite degli abissi Se chiedi il mio cuore stasera - amica - ti riempio la mano d'un sasso tondo logoro d'un mare immenso di nostalgia. Gennaio 2003 |
SAI CHE NON SERVE TORNARE Flusso lento d'un fiume lungo l'ampia valle distesa come pretesa serena di pace agl'incroci d'acque e binari verso i tuoi neri profili da ieri gettati al vento La lingua tua sfugge all'arsura ferma sui bordi lisci dove tardi s'impara perdendo contati orizzonti fattisi densa spuma effervescenze ritmate sparite dietro Sai contrare l'affronto su cieli rasi da devastazioni e puoi ghermire la scena offerta agli occhi scura di fumi e sangue rappreso in grumi Sei sceso tra i morti a raccogliere gemiti e pianti di madri crollate spente tra abbracci e baci con la serpe infissa nel seno e l'addio caldo da sempre mormorato nel nome Non serve oramai graffiare il mare e cercarvi annerite meduse contratte come vaghe vagine sfiorite con unghie scarne e ricurve storte d'avida fretta nelle scie vaste ed impure d'alti vascelli scomparsi tra nebbie e rabbie d'intensi uragani placati a stento Sai che non serve tornare Prendo la mano tua spoglia fragile cosa ormai priva come una foglia nube stanca rattrappita fra liquidi fili d'alghe nei flussi acerbi in deriva Nel pugno aperto c'è fango e miele sporco che gronda imminente la fine Così viene la sera che soffri il peso degli anni andati E ti guardo allo specchio |
NELL'ACQUE FERME OLTRE IL PONTE
Fra spire d'ambrato fumo ch'esala nell'oscurata Venezia l'uomo senza più alcuna dimora fissa ad ampie spalle va apolide nero fuggiasco oltre le sette e più porte inchiodate del campo ascoso Scappa da una sgualdrina fra le mani costretta sul bordo d'un letto disfatto e libri aperti lascia su pagine forse mai lette Una lettera su quelle righe a nascondervi vinti segreti tracce d'un fiore smarrito parole spente Sfida alla comprensione o folle recondita lucidità tra fili di ragni pregni di pallidi raggi lunari trama che resta in sospeso d'epiloghi d'arte sanguigna in grafici segni a matita Ombre a perdersi nell'acque ferme oltre il ponte macchie stinte d'un passato recente su pietre da tempo consunte va a passi indecisi lungo le fondamenta disegni d'orme inseguendo d'un irreale marino Caracas, settembre 2008 |
UN UOMO SOLO Eccolo accanto a me un uomo solo con una birra scura davanti come un cavallo in piedi il feltro a tappargli dentro pensieri e grida Parliamo a gesti divisi dalla sbarra del bar fra sorrisi e strette di mano e le ceneri di due sigarette indicando le cose col dito con scarne parole e verbi espressi nel modo infinito Quest'uomo solo ogni sabato delle sue notti pugni avvezzi al contatto del gelo e la calce sogni rotti in frantumi due fessure colme d'iridi rese oscure dall'ombra covata sotto il sole tondo d'una terra lasciata alle spalle Mi parla di mare di scogliere e di schiuma d'aranceti e di reti stese di vele bianche e di barche rastremate come le anche svelte sotto le nere gonne delle donne del suo paese Ha voce roca un suono rozzo che evoca la contorta corteccia d'un vecchio ulivo affiora da un pozzo colmo di nostalgia ha lo sguardo che s'apre su orizzonti lontani a occhi chiusi che spazia distese marine come un cieco gabbiano Così conosco quest'uomo mediterraneo in un sabato notte della sua inane esistenza la sciarpa di capra alla gola e la vista che fugge via oltre il boccale spumoso oltre i rutti il fumo e le teste oltre Stoccarda e i confini alpi rocciose e vaste pianure che lo separano da troppo tempo dal muretto franato attorno all'orto incolto di casa Caracas, giugno 2003 |
Testo: Vittorio Fioravanti
Voce: Cinzia Toninato Fotografia: Simon Wells Musica: Pink Floyd Montaggio: Adriano Gabellone Supervisione: Daniela Cattani Rusich Produzione: Poetika.it STRIE D'ARIDA POLVERE Sottili e labili scie disegnatesi sullo specchio d'un Cosmo immane polvere d'astri caduta come fertile pioggia su un pianeta appartato dell'ultima galassia sul margine estremo dell'Universo Appena ieri Guizzi lungo distese di mari e oceani profondi cellule incrociatesi come per caso fondali d'alghe un pulsare di vita un vibrare incessante di pinne febbrile ansia di crescere di sopravvivere per istinto Esseri risaliti dall'acque tracce sull'umida rena orme incerte su per i boschi frutta e semi raccolti e poi carne inseguita e vinta Il sapore del sangue Impronte nella polvere di sentieri corsi nel buio emozioni percezioni esperienze armi brandite urlando il senso della morte l'idea d'essere esistere amare e morire liriche scritte cogli occhi accesi piramidi e grattacieli crescente ingegno il concetto dell'unione ma radicato l'impulso assassino fino ad ergersi come possente razza dominatrice Genia divina devastatrice E infine ancora strisce lungo i cieli studiati di millennio in millennio esili ponti lanciati nello Spazio alla conquista di lune ignare di mondi irraggiungibili diaspora della stirpe d'un uomo fatto ad immagine e somiglianza d'un Dio onnipotente O gesto vano d'un germe cosmico Un solo unico istante d'esistenza e non siamo che stinte strie d'arida polvere spazzate via dal Tempo Caracas, agosto 2003 |
IN QUELL'ULTIME NOTE NAUFRAGHE NEL SILENZIO
Vivido un grumo d'ansanti emozioni in sogni sfiniti disciolte le energie vitali lungo arterie riarse e ormai spenti bisogni Gocce d'umori acri emanano i pori sapori amari Non sa più fingere scorre le dita lungo i tasti del piano melodia che s'estingue in quell'ultime note naufraghe nel silenzio d'un vasto mare d'oblio Un solo accordo e ancora il gusto d'una sigaretta scuote infine la testa e s'alza senza fretta esce qui a destra dalla finestra nel vuoto Caracas, settembre 2007 |
LE LABBRA SULLA SUA GOLA Mi porto dentro rotondi e lucidi come granelli d'un rosario pagano contati battiti di "tambores" ritmo di "cuatros" e "maracas" Mi porto dentro luci e calde penombre profumi penetranti di sugheri e fiori appassiti e quell'odore suo di bruna donna in calore Mi porto il pulsare d'un giovane sangue misto che scorre lungo le dita polsi e gomiti smussi e braccia allacciate L'anca nuda si sporge sulla curva delle sue gambe ma i miei morbidi passi seguono quei movimenti le labbra sulla sua gola suadenti come tenere serpi nel seno offerto all'ansare per l'allegria d'una danza che inebria sensi e pensieri Caracas, agosto 2003 |
SORELLA MORTE
E quando incauta in un vortice voluttuoso d'ali e d'artigli verrai a succhiarmi le labbra l'infida lingua tua saprà leccarmi piaghe d'ansia e ferite d'aspro sgomento stimmate sull'animo mio che disperato ti bramava ormai insano In disadorno abbandono l'alito di suadenti parole che verrai a sussurarmi scenderà giù nei meandri della mia mente rapita a ridestarvi sogni e memorie incubi gelidi e resti consunti d'agonie vissute e vinte in extremis Avide l'unghie tue stasera cercheranno i miei polsi per sommettermi ignudo alla resa d'ogni mio impulso vitale ma nella stretta avvinti nascerà amara la voglia d'allacciare corpi e sospiri sangue e lacerazioni in un violento ultimo rogo di sfrenate passioni Resterà in alto la luna e gli ululati di belve in calore grandine e neve nell'aria e s'alzerà il vento sul litorale e l'onde verranno a frangersi gonfie d'orgasmo e d'ira sui lividi scogli delle mie spoglie illusioni E avverrà allora tra le frasche d'un greto dopo un volo in un vicolo cieco contro un muro tra i sassi o sul viscido pavimento del cesso d'una stanza in affitto d'un oscuro albergo diurno Difficile sarà respingere sull'orlo dell'orrido abisso il tuo maligno disegno Vano amplesso incestuoso Sorella Morte stanotte non te n'andrai delusa Caracas, dicembre 2005 |
SUI PASSI DEL PRETE ROSSO
Sull'onda greve di rifiuti riflesse strisce chiare di luci Argentea vi scorre breve la prora sottile d'una lucida gondola nera Lembi infranti di nebbia dalla deserta sponda oltre il ponte proteso sull'acque e l'aperta consunta ringhiera V'approda l'ansia del prete macchia rossa allungata sui muri la mano mossa a condurla tastando ogni incrostazione Lo seguo a occhi chiusi Sommersa nei miei pensieri l'emozione freme sui passi suoi cadenzati come le note che modulano quell'andare nella Venezia di ieri Vibrazione arcana d'un estro armonico espresso in assoli vivaci che avvolgono un suo gesto col braccio alzato nell'aria densa d'umori mentre vi scava i rilievi sul volto a stento svelato una lampada appesa nella bottega accesa sulla calle ristretta Riconosco nel suo affilato profilo la folle luce delle pupille sprizzanti trilli di virtuosi violini e squilli alti di trombe Un pugno solo d'attimi d'immaginazione e lo perdo fra l'ombre vaganti nel dedalo del sestiere dietro varchi rinchiusi oltre un campo a San Polo Parvenza che s'allontana sfuggendo al mio sguardo svanendo nell'antro immenso risuonante d'euforici archi in quello Spazio suo fermo nel Tempo rappreso Caracas, settembre 2005 |
VENEZIA NELLE MIE VENE Venere imputridita ho Venezia nelle mie vene ignuda sotto le dita tra miasmi di gesta vissute e màrcide vane esperienze di vinte battaglie ormai perse nel tempo Degenere nostalgia d'avventure sommerse nei veleni dissolti della laguna voglia amara d'acque di riflussi spentisi in gola d'una luna più sola malata lungo squallide fondamenta preda d'umidi geli e d'abbandoni Nel fondaco oscuro della mia mente rapita sono negli occhi accesi di gatti chini sul sangue di tenere carni lacerate e nelle nari dilatate di ratti in fuga sconvolti d'ansia gonfi e d'orgasmo Ho in me l'ansare profondo d'un rincorrersi a scatti di bianche maschere inespressive infisse sugli occulti delitti e le riarse speranze già stanche d'aspre stagioni di vita Come ritti stendardi ho in me i volti delle mie donne le gonne schiuse al peccato tra i ricami di gondole nere oscillanti nel vuoto Strani incontri ed incroci quello sfuggire a stento su pietre consunte d'uso tra ponti lanciati nel buio e vasti campi rinchiusi intorno lungo calli ristrette e muri e buchi La Venezia che bramo è ora nebbia e rimpianto un canto sommesso che s'estingue in ultime lingue d'un fuoco quieto un sentore di pallida morte la fine forse incolore Caracas, marzo 2005 * * * Primo premio al Concorso Letterario "Premio Leonardo Da Vinci", indetto da "Il Circolo" di Valencia (Venezuela) con la giuria presieduta dal prof. Valeriano Garbin. |
E NON HO SMESSO D' ANDARE
Subìto amore conquistò i nostri sensi e la mente invase col sangue e la ragione E fu passione Il mio tenso volere di pietra era granito d'ansie represse scoglio scheggiato da tempeste e diluvi da bombe esplose sul porto sommerso d'alghe e risorto da mareggiate d'angoscia tra spume e relitti irto come l'artiglio era della mia casta dura d'uomo di mare ma d'improvviso in quel mio anfratto consunto appena con un sorriso penetrò l'onda quieta della tua dolce insistenza Imprevista presenza uragano inatteso bagliore d'un sole nuovo Vana la mia volontà di restare la convinzione mia innata un pugno serrato con forza denti stretti e pensieri come argilla corrosi dal tuo volertene andare strappandomi dalle radici Non bastarono l'unghie graffianti dei miei in disperata difesa parole chiare e tormenti incomprensioni pianti e rimpianti e poi spenti sgomenti tutto finì sulla soglia di quella porta socchiusa che s'aprì al vento impetuoso della tua decisione della nostra illusione Non so dire quanto il destino possa forgiare il cammino So che il mio peregrinare iniziò il giorno che t'incontrai E non ho smesso d'andare |
BARBARA ispirata dalla poesia "Barbara" di Jacques Prevért Ricordati Barbara Pioveva a dirotto quel giorno a Venezia e tu te n'andavi serena e sorridente grondando malizia dagli occhi tra gocce lucenti di pioggia Ricordati come cadeva a scrosci sotto il Ponte dei Sospiri quando incrociammo gli sguardi divisi dallo scorrere dei passanti e di lucide gondole nere Ti seguivo da tempo Al tuo luminoso passaggio avevo lasciato il riparo ed ero corso dietro i tuoi passi quasi senza sapere Ricordati che ti fermai all'imbocco della ristretta calle degli Albanesi riempiendomi il cuore del tuo fresco sorriso Avevi la giacca a vento slacciata e dal piccolo seno tradito dall'aderenza della maglietta bagnata m'immaginavo l'ansia gioiosa che t'animava dentro Restammo in silenzio storditi per un attimo prolungato di tacita ammirazione poi la voce tagliente dell'uomo ha gridato il tuo nome Barbara e sei corsa al richiamo sotto la pioggia che continuava a cadere sulle pietre e sull'acque della Laguna rigando d'oblique strie la penombra del sottoportico dove lui t'attendeva T'ho vista gettarti tra le sue braccia baciargli la bocca presa nelle sue mani sprofondarti nell'ampio suo oscuro torace ed allora - deluso o confuso - vi ho amato senza nemmeno conoscervi Ho amato la pioggia e il tuo volto Venezia e l'abbraccio d'entrambi la breve storia d'amore e di morte che in quel giorno di strana pioggia ci aveva uniti per sorte Caracas, luglio 2006 |
AMARI AMANTI
Il tuo alito sulla maschera muta del mio volto di marmo Amari amanti si va come sommersi nell'umore di nebbia che già sembra dividerci Oltre l'arcata del ponte sul rio inquinato di ceneri del nostro incontro più assurdo Acque e riflessi a scorrerci intorno come se stessimo fermi sull'orlo e fosse Venezia e le sue pietre stinte ad andarsene via Nel campo deserto c'è il suono esausto del sestiere che muore affondando nel fango L'ora espande un suo severo richiamo chiaro come l'odore intenso nel buio d'un corridoio chiuso sui nostri passi Il sentore ci invade i pensieri e il tuo viso s'accosta al mio caldo respiro scosso dal grido deciso del gondoliere ignaro che ci scivola incontro Non siamo ormai fatti che d'alghe e conchiglie nessuno ad accorgersi del nostro furtivo passaggio fatti di sabbia oscura d'anni persi e dimenticati lungo cammini diversi Resta appena una traccia di quel tuo profumo un sospiro fra le tue labbra il sorriso d'allora e quei tuoi rossi capelli mossi nei flussi e riflussi d'una marea di memorie Di te mi resta questo tuo sguardo smarrito restano fragili le dita della tua mano rifugiatasi nella mia mentre ci allontaniamo vinti e ormai rassegnati nel fondo grigiorossastro della Salute E resta in te il fremito del bacio dato senza più alcuna speranza accanto al mio treno in partenza sul marciapiede affollato a Santa Lucia Caracas, ottobre 2000 |
MAMMA CLARA
I Sai di balconi fioriti di rossi gerani e di foglie di canzonette d'amore di quegli Anni Quaranta di finestre aperte sul mare di specchi e riflessi di luce di mattini radiosi e di sole Ma sai anche d'amaro di quei balconi sfioriti di misere piante spoglie dell'ossido della ringhiera sospesa sul vuoto cortile visto dal quarto piano sotto il volo radente dell'aeroplano II Tu sai di mani congiunte in preghiera di parole di rassegnazione di baci dati ogni sera augurandoci la buonanotte Sai di lenzuola pulite di cuscini e di coltri di stanze da letto ordinate di pavimenti e di cera Ma sai d'acido ancora d'imprecazioni a quel mostro di schiaffi dati al destino quel tuo maledire i giorni le ore e i momenti di quella guerra E sai di biancheria lavata sotto l'acqua del rubinetto di mollette di legno e sapone di mutande distese in terrazza al caldo vento del golfo come un'impavida pazza tra i bagliori dell'esplosioni di bombe gettate a sorte in ripetute incursioni aeree sull'Arsenale distrutto e sui quartieri spezzini obiettivi colpiti a morte III Sai di croccanti e di noci di presepi disfatti nel muschio di soffici biscottini di tagliatelle fatte in cucina sul terso marmo del tavolo nostro di caffelatte tu sai e d'uova fresche sbattute della stufa accesa d'inverno di casa e di focolare Ma sai pure di pane duro e di strutto d'acciughe smorte e di sale fatto d'acqua marina bollita riarsa sui falò accesi di tavole e sedie spagliate Sai di razioni spartite in un angolo freddo di fame d'un uovo diviso d'una fetta di scarsa polenta da mangiare insieme in fretta prima che le sirene dessero l'allarme di nuovo di tante cene saltate a luci spente in silenzio persiane e vetri oscurati ai velivoli degli alleati IV Sai di noi figli bambini zitti e piagnucolanti di quel tuo viaggio a piedi da La Spezia a Parma con un carretto e due donne forti del vostro coraggio in cerca di pasta e farina d'un segno di croce amico quasi in pellegrinaggio oltre l'infido Passo della Cisa Sai di quel campo di mine attraversato di corsa col cuore a battere in gola la veste lisa strappata urlando in cerca di scampo per riuscire a tornare a casa con quei tre sacchi ricolmi Sai di polvere e fango delle grida del tuo rientro Eri sotto le occhiate invidiose e le voci sommesse dei vicini affacciatisi all'esito dell'avventura Eri la nostra gioia giù per le scale quei nostri vividi abbracci attesi come fasi di luna per tante notti V Di quelle voci infantili sai di pianti e di risa improvvisi di giochi nel corridoio Sai di noi quattro bambini di Anna e Romano e di Silvia Sai di me ch'ero nato per primo ch'ero il più grande il meno piccino dei tuoi quattro figli Negli anni non è svanito m'è rimasto tenue il sapore delle tue vesti sudate della tua fronte imperlata quell'odore di donna di madre amata di te Mamma Clara Mamma cara |
Mare mosso d'ottobre
Mare mosso d'ottobre fuliggini di rondini in fuga presa d'un tabacco amaro fumo oltre la porta e sul palmo striato l'ansito fra dita aperte A passi incerti occhi rosi sul molo che non scrutano piú che ascoltano lontano venire uccelli di spuma sui frantumi del mare mosso d'ottobre. |
Tutti i loghi, I marchi registrati di sito e le opere inviate sono proprietà dei rispettivi autori. Ogni altro materiale pubblicato è proprietà dell'Associazione Circolo Culturale IL GATTOPARDO. 9 Agosto 2006 |
t |