Circolo Culturale il Gattopardo

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RACCONTI

James Glob

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INCUBO

Lara si guardò allo specchio. Con la punta del dito mignolo asportò la lieve sbavatura del burrocacao alla fragola dall’angolo della bocca. Poi strizzò le labbra all’indietro come per spalmarlo ancora di più e farlo aderire meglio. Ne sentiva nelle narici e in gola il sapore dolce e fruttato.

Con movimenti imprecisi e tremolanti scurì le ciglia chiare con il mascara "resistente all’acqua", regalo della sua amica Annamaria. Era la prima volta che si truccava.

Si osservò meglio. Prima il profilo destro, poi quello sinistro, poi di nuovo di fronte. Atteggiò il viso e le spalle a pose da vamp. Fece boccuccia e sbatté più volte le lunghe ciglia sporcate di nero, emulando scene d’improbabile seduzione. Poi scoppiò a ridere facendo sberleffi alla propria immagine e compromettendo ancora di più il già debole risultato del suo make-up.

Una cerbiatta magra e ancora acerba. Due occhi verdi sempre in movimento e curiosi di scoprire chissà quali segreti; le gambe lunghe e muscolose, dono di ore e ore d’allenamento sul campo da pallavolo; una spruzzata di lentiggini sul naso e sulle guance rendevano grazioso un viso abbastanza regolare, mentre la zazzera bionda e cortissima sembrava animarla ancor di più dello spirito allegro che abitava in tutte le sue fibre.

Era un ciclone in compagnia, sempre pronta ad entusiasmarsi per idee scapestrate e a correre dietro a sogni irrealizzabili. "Per gli altri" amava precisare ogni volta che era rimproverata. "Per gli altri saranno irrealizzabili. Non per me."

Acquario. Ascendente sagittario. Un dramma, dicevano in famiglia. Una "figata", diceva Lara con le sue amiche.

Prese la borsa fatta con lo strofinaccio dei pavimenti, ricamato a punto croce con fili di lana colorata. Era la fine degli anni settanta ed impazzava lo stile "hippy". Lara non fumava spinelli e non amava bere. Però indossava jeans a zampa d’elefante, portava la camicia fuori dei pantaloni e l’immancabile foulard era ora annodato su una coscia, ora avvolto intorno al collo, ora a cingerle la fronte. Lo aveva acquistato di nascosto il foulard, risparmiando tutte le mattine sui soldi della merenda. In casa non volevano che lo portasse. E lei rispettava il divieto. Lo metteva dopo essere uscita dal portone e lo toglieva prima di rientrare. Le procurava un formicolio nello stomaco tenere il suo segreto in tasca.

Uscì alle tre e mezza. Alle sei doveva essere di ritorno, altrimenti sarebbero state storie, e di giorni segnati in nero n’aveva già qualcuno sul diario. Oltre alle punizioni aveva annotato anche tutte le gite alle quali non aveva potuto partecipare perché si rientrava troppo tardi. Il "troppo tardi" equivaleva a "dopo le sei del pomeriggio". Spesso scambiava battute scherzose con gli amici sulla sua condizione di "sorvegliata speciale". Ovviamente cinema e discoteche e feste a casa altrui erano argomenti tabù.

Prima figlia femmina di una famiglia mediocre ed ignorante. E di un padre geloso e ossessivo. Pazzo. Qualche volta Lara pensava fosse pazzo. Ancora ricordava quella volta che, in occasione di una partita di campionato, era stata convocata come titolare a giocare fuori Roma. Una tragedia. Accuse assurde furono scagliate su di lei e sui motivi per i quali voleva andare a quella partita. "Sono stato a controllare al capannone, domenica scorsa. Stanno tutti ammucchiati sulle gradinate. Chissà che combinano la in mezzo…" aveva asserito urlando con rabbia. Lara, per la prima volta in tanti anni, si era infuriata e aveva scagliato valanghe di parole, veleno e risentimento contro il suo atteggiamento indagatore e oltretutto totalmente ingiustificato, che tanto la umiliava.

Uno schiaffone a mano aperta le lasciò evidente il segno di cinque strisce di fuoco sul viso. Nell’anima invece, lasciò un’impronta di cemento armato che indurì nel tempo e appesantì i suoi sentimenti per quel padre violento.

Era sempre stato così, fin da giovane. Scorbutico e manesco. Lara non riusciva a capire come sua madre, mite e paziente, potesse sopportarlo; come avesse potuto dividerci diciassette anni della sua vita e dargli anche tre figli.

Con la moglie non aveva mai alzato le mani. Ma con i figli era un’altra cosa. Loro erano di sua proprietà e poteva maltrattarli gratuitamente.

Tutti i giorni, a tavola, guai a lasciarsi distrarre da un’immagine in TV. Se s’impiegavano più di dieci minuti a mangiare, si ricevevano pezzi di pane in faccia, scagliati con violenza. O tovaglioli appallottolati sparati sugli occhi o per il malcapitato che gli sedeva accanto, spesso erano serviti altri sonori sganassoni.

In quei momenti, la mamma con lo sguardo supplicava Lara e i fratelli più piccoli di fare in fretta a finire quello che c’era nei piatti.

Lui intanto si godeva lo spettacolo trasmesso dalle reti nazionali mangiando rumorosamente e ignorando anche le più semplici regole della buon’educazione. Se ne faceva un vanto della sua rozzezza e non perdeva occasione di metterla in mostra ogni qualvolta n’aveva l’occasione. Soprattutto se questa si presentava nelle vesti di qualche compagno di scuola di Lara. Sembrava godere nel far vergognare la figlia di suo padre. Sembrava soddisfatto soltanto quando, grazie a lui, gli amici di Lara rifiutavano anche solo di venirla a trovare a casa.

"Devono rispettarmi, come io rispettavo mio padre" questo era quanto amava ripetere quando qualcuno gli chiedeva perché fosse sempre così scontroso con i figli.

Non gli passava neanche per l’anticamera del cervello che in quel modo non avrebbe mai ottenuto rispetto. Poteva incutere paura o anche terrore, forse. E qualche volta disgusto. Ma mai, mai avrebbe avuto rispetto. Non da Lara.

Lei aveva in sé una tale pienezza di spontaneità, di sincerità, che negli occhi trasparenti galleggiavano i suoi pensieri e i suoi sentimenti. E, in fondo a quelli, si poteva scorgere la robusta pianticella dell’odio che pian piano aveva messo radici e s’inerpicava fin dentro al cuore. A Lara di suo padre dava fastidio persino l’odore. Puzzava di prepotenza. E le faceva venire il voltastomaco. Quando era in casa, lei apriva tutte le finestre, anche in inverno. Sperava, invano, che insieme alla puzza se n’andasse anche lui.

Erano le sei passate da quasi trenta minuti quando Lara suonò il campanello. Uno scalpiccio veloce si fermò dietro la porta che, con uno scatto metallico, si aprì.

"Lara, entra forza. Fai piano che tuo padre è in camera che dorme" mentre diceva questo, la mamma gettò uno sguardo all’orologio da muro in un muto, implicito, rimprovero. Lara represse a stento un sospiro di rabbia. Era inutile discutere con la madre: sottomessa era e sottomessa sarebbe rimasta. Il vero problema era che sembrava considerare normale il modo in cui era trattata. Mai, finché Lara n’aveva memoria, aveva sentito il padre rivolgerle parole gentili. Mai lo aveva sentito chiedere alla mamma qualcosa "per favore", o dire "grazie" dopo averla ottenuta.

Questi ormai erano discorsi ammuffiti e lei era stanca di lottare anche per chi non n’aveva nessuna voglia.

Entrò in bagno e chiuse la porta trattenendo a malapena l’istinto di bloccare la serratura con la cesta della biancheria sporca. Era rotta e la chiave era sparita. Lara odiava non poter chiudere fuori, a doppia mandata, quell’atmosfera pesante seppure per pochi minuti.

Sfilò, facendo forza con la punta dei piedi sui talloni, le espadrillas decorate con le perline colorate.

Seguirono i jeans e la camicia. Dopo una veloce rinfrescata accese la radiolina poggiata sulla mensola e le note di Staying alive riempirono l’aria intorno. Lara sedette sul water, con indosso solo slip e reggiseno e iniziò a sfogliare una rivista. Amava leggere di tutto. Dai libri al dizionario, da topolino all’enciclopedia. E soprattutto libri d’avventura e romanzi storici: con quelli poteva evadere dal suo inferno personale e compiere imprese ardue e coraggiose.

Quella rivista doveva essere nuova perché la mattina non c’era. Chissà chi l’aveva portata? Forse la zia Miriam, l’unica lettrice della famiglia. In casa sua, leggere sembrava essere un delitto e soprattutto uno spreco di soldi.

Gli occhi correvano veloci sulle pagine patinate scegliendo foto ed articoli da ritagliare quando, con uno schianto, la porta del bagno si spalancò. Lara balzò in piedi afferrando l’accappatoio e cercando di coprire il corpo nervoso come quello di una puledra spaventata. Le budella s’annodarono in uno spasmo dolorosissimo, mentre la rabbia riempì prima i polmoni e poi la gola quasi soffocandola col suo stesso odio. "Perché non bussi prima di entrare?!?!!! Perché non lo fai mai!!???" urlò quasi annegando nelle sue stesse lacrime. "Mammaaaaa!!!"

"Non c’è tua madre, è scesa a ritirare la posta: è inutile che strilli" intanto un ghigno sadico si era dipinto su quella faccia orrenda che tanto le ricordava l’immagine descritta nel "ritratto di Dorian Grey".

Lara era paralizzata dall’orrore e dallo schifo. Guardava suo padre, immobile sulla porta che l’osservava con uno sguardo tutt’altro che paterno. Cercò di coprirsi ancora meglio. Cercò di coprirsi ancora di più stringendo fino a farsi male la cinta dell’accappatoio.

"Sei rientrata tardi oggi. Dove sei stata? Con chi sei stata?" Il tono si era fatto minaccioso ed ironico allo stesso tempo.

"Sono stata ai grandi magazzini, con Annamaria". Lara si era rintanata nell’angolo più lontano. A farle scudo soltanto la rivista.

"Ah sì? Annamaria è una puttana. E tu? Tu ti sei fatta toccare da qualcuno?" Intanto si stava avvicinando con quel passo strascicato, trasandato. Lara pregava che cadesse e sbattesse la testa. E non si rialzasse mai più.

"Annamaria è una brava ragazza ed è mia amica" Rispose con un filo di voce. Le labbra le tremavano, perle di sudore le brillavano sul viso, mentre brividi freddi s’insinuavano sotto la sua pelle provocandole scariche nervose ad alto voltaggio.

Poi vide quella mano avvicinarsi, farsi sempre più vicino. Artigli che volevano ghermirla e che, se l’avesse lasciati fare, l’avrebbero ferita più con una carezza che con una coltellata in pieno petto.

Quel pensiero le annebbiò la ragione, la rabbia le gonfiò le vene, il dolore e la repulsione fecero scorrere adrenalina in tutti i vasi sanguigni. Con una mossa felina si alzò ben ritta in piedi sovrastando il padre di pochi centimetri. Lo fissò negli occhi e avanzò verso di lui. Con un gesto secco spinse via quella mano oscena. Lui iniziò a perdere sicurezza davanti a quella che non riconosceva come la succube figlia.

Lara gli puntò un paio di forbici sul petto. "Non ti azzardare mai più a fare quello che hai appena fatto. Non lo fare mai più. Sono stata chiara?" Ora l’odore del padre non sapeva più di prepotenza. Adesso era odore di paura. Paura della sua ribellione.

Lara si allontanò dal bagno e si diresse verso la sua camera. Poi, come se un pensiero l’avesse colta alle spalle, si voltò di nuovo verso il padre che ancora la osservava a distanza.

Lo fissò e per alcuni secondi lunghi come due vite non parlò.

Poi con calma: "se ci riprovi t’ammazzo."

E con un tonfo si chiuse la porta alle spalle. Il padre alle spalle. L‘orrore alle spalle.

Accese una candelina e ci soffiò sopra.

E poi pianse perché il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno.

Quindici meravigliosi, schifosissimi, anni.





La luce verde di Barcellona

E’ stata colpa di quella luce. Tutta colpa di quella luce là, quella verde fosforescente, se sto a Barcellona, adesso. Che io mica ci volevo venire, anzi, io volevo andare a vedere Berlino, che è molto più tedesca di Barcellona. Praticamente qua è come una Madrid che è andata in vacanza al mare. E poi sono tutti spagnoli a Barcellona. Anche i turisti stranieri sono spagnoli. Anche io. Proprio uno spagnolo di Barcellona, sembro. Amigo, que pasa? Che mi ricorda la canzone degli Intillimanni di quando andavo in giro con la sciarpa a quadrucci rossi e bianchi e le frange, che poi era una tovaglia piccola di mia nonna, anche un po’ strappata. I barcellonesi sono gente strana. Così. Strana, appunto. Non dormono mai e escono tutte le sere dopo cena, solo che un po’ più tardi. E poi ridono. Ridono un casino, per ogni cosa, ridono. Sembrano cubani coi vestiti seri e senza Coimbra. Ecco, se non avessi visto quella luce verde fosforescente adesso non stavo qua, a guardare questa cosa strana che ha fatto Gaudì. Gaudì era un architetto catalano che secondo me però era di Barcellona anche lui, in fondo in fondo. Faceva le cose surreali Gaudì. Anche io faccio le cose strane a casa mia. Ma nessuno dice che sono surreale. Dicono che sono matto e basta. Dicono. Loro.
Inizia a piacermi, qua. Ieri in un negozio di dischi ho incontrato un francese di Barcellona. Prima era di Parigi. S’è sposato una spagnola e adesso gli stanno sul cazzo, i francesi. Ecco perché è diventato spagnolo anche lui. Agli spagnoli i francesi stanno un po’ sul cazzo in generale. Forse perché ridono poco e sembra che hanno sempre il naso in sù come schifati da tutto, i francesi. Questo invece rideva proprio come uno spagnolo. E usciva anche tutte le sere dopo cena, solo che un pò più tardi, ha detto. Beato lui. La luce verde fosforescente era una scritta e diceva -Vieni a Barcellona: offerta speciale 88 euro-. E lampeggiava, che per leggerla tutta ho dovuto rimanere sotto il cartello e leggere a rate. Allora ho pensato che un mio amico che lavora in un’agenzia di viaggi dice sempre che le occasioni così vanno prese al volo. E io l’ho presa al volo e sono partito con l’aereo. Solo che non pensavo di andare a Barcellona così, subito. E neanche la valigia avevo. Solo la 24ore con gli appunti per la riunione di oggi in ufficio, che gli ho telefonato e ho detto che avevo l’emicrania, anzi non –emi- ma proprio tutto intero ce lo avevo il mal di testa e che non potevo andare. Loro mi hanno detto riposati e io gli ho detto non preoccupatevi sto a letto e ho il cellulare acceso per le emergenze. Poi ho tolto la batteria al telefonino, così per accenderlo devo rimontare tutto e mi passa la voglia. Invece di voglia m'è venuta di assaggiarla, a Barcellona. Un altro mio amico dice sempre che una città si vede da come mangi, dice quest’altro mio amico. Lui fa il cuoco. Io no, ma mi è venuta fame lo stesso. E dire che se quella luce fosse stata rossa non ci sarei venuto a Barcellona. Che il rosso mi fa venire l’irritazione. Un pò come l’orticaria ma senza bolle. Per fortuna che era verde. Per fortuna.








Al Blues Canal avrebbero dovuto suonare jazz, quella sera

Lo spicchio di limone si divincolò ancora, cercando di sfuggire all'ennesimo attacco della cannuccia a righine blu che, con un colpo secco e preciso, lo inchiodò al fondo di vetro del bicchiere e iniziò a farlo girare piano, in ipnotici cerchi concentrici.
Occhi aspri al lemonsoda e davanti, un contro-umore alla birra scura, con pizzetto.
Al Blues Canal avrebbero dovuto suonare jazz, quella sera.
Avrebbero dovuto.
- Senti, andiamo via di qua. Non si riesce neanche a parlare...- Con un gesto a metà tra l'irritato e l'esasperato, Danny afferrò il giubbotto di jeans chiaro ed uscì. Tam lo seguì a ruota gettando un ultimo sguardo al cadavere dell'agrume e alla cannuccia assassina. Qualche goccia di pioggia distratta bussò sulle maniche della camicia di Danny che affrettò il passo, anche se apparentemente sembrava non prestarvi attenzione. Tam faticò a tenergli dietro; non aveva una falcata da circa un metro e dieci d'apertura, e le scarpe col tacco le impedivano di sostenere un'andatura vivace sul fondo scivoloso che lastricava le viuzze attorno al Naviglio. Tintinnio di chiavi, testa bassa a schivare le goccioline che ora stavano facendosi più attente e con uno "sbam" soffocato, la pioggia e Milano restarono fuori delle portiere dell'auto.
Quindici secondi di silenzio tagliato sottile, servito tra un sedile e l'altro. Con contorno d'occhiata eloquente. - Allora, come va? ? Il tono di Danny era di quelli che dicevano: "Dai, parla, sfogati, sono qui." Con gesto nervoso e spostando lo sguardo fuori del parabrezza Tam sfilò la fascetta nera che le stava strozzando i capelli in alto, in una coda di cavallo lenta e disordinata. Chissà perché, quando c'era qualcosa che non andava o l'umore si riempiva di nuvole minacciose, non riusciva a tenere i capelli legati. Il passare le mani sul viso e poi in mezzo a quella massa pesante di fili chiari, le dava quasi l'impressione di riuscire ad afferrare i pensieri che s'agitavano senza sosta nella testa, di poterli ingabbiare tra le dita per poi domarli, riconducendoli alla ragione.
- Cazzo, una vera merda...-
Danny soffocò un singulto; un lieve rantolo fischiato scivolò nell'aria umida, testimone suo malgrado di una strascicata bronchite primaverile. - Cristo santo Tam, che v?insegnano al SISDE, pubbliche relazioni con il botto? Non ti ricordavo così...-
Lentamente si girò a perforare gli occhi luccicanti della bionda, facendo frusciare la fondina da polpaccio della piccola Beretta Cougar, nascosta sotto lo spesso strato di cotone dei pantaloni. La cicatrice diramata sulla rotula sinistra cominciò ad urlare la sua vendetta; sentì distintamente la placca di titanio, che gli sostituiva l'articolazione, mandare un sinistro avvertimento di torsione sbagliata. Quella donna gli ricordava troppe notti insonni, troppe sigarette russe, troppe ore passate ad ascoltare conversazioni rubate. Si concesse un lento sospiro accarezzando la cascata chiara che scintillava alla luce dei lampioni piantati sui marciapiedi fradici; i capelli di Tam avevano fatto perdere la testa a più di un dirigente del servizio segreto.
- Senti, lo so che non è facile ma, insomma, è il tuo lavoro! Hai sudato sangue per riuscire a far carriera in questo cazzo di mestiere. Quanti buchi maledetti hai visitato in questi anni Tam? -
La bionda sorrise nella penombra spruzzata di tensione latente. Era vero. Era tutto dannatamente vero. Quella era la sua vita. Aveva lottato per arrivare in quella posizione: responsabile operativo della divisione L. Cedere adesso alle intemperanze nevrotiche del marito avrebbe significato buttare nel cesso tutto quello in cui aveva creduto. Eppure...







Io siamo un gruppo ben affiatato, nonostante.

La stanza da letto è di dimensioni normali. Un letto normale, una cassettiera normale, comodini normali, lampada normale. Quadri normali appesi alle pareti. Una normalissima tenda nasconde finestre ultra normali.
Una super-normale stanza da letto. Come se ne trovano in tutte le case normali.
E allora che c’è di strano, vi domanderete voi. Niente, rispondo io.
E’ il resto della casa che è spettacolo vero.
Specchi. Ovunque specchi. Specchi dappertutto. Grandi, enormi. Cielo-terra, a parete, sui soffitti, negli angoli.
Specchi tra gli scaffali della libreria, attaccati alle porte, sulle ante dei pensili in cucina, dentro al caminetto, in salone.
Cornici di specchi, tavoli di specchi, piatti d’acciaio lucido antigraffio, così ti specchi anche lì.
Pavimento di specchi. Così ti cammini sopra. E cammini sopra anche a tutti gli altri. Tutti quelli che ogni volta che entri in casa ti si fanno incontro da davanti e quelli che corrono verso di te di lato, e quelli che ti osservano come spie, appesi al contrario, dal soffitto. Cioè, a quelli appesi al soffitto non puoi camminargli sopra ma sono gli unici che si possono guardare negli occhi da vicino. In effetti hanno un’espressione da pazzi che m’inquieta un po’ e cerco di non incrociare il mio sguardo con il loro. Li saluto giusto una volta ogni tanto, per evitare che s’innervosiscano troppo pensando di essermi antipatici. Eh già, perché, stavo pensando, se per caso in preda alla rabbia mi sputassero tutti quanti insieme non ci sarebbe mica da stare allegro, cavolo!
Poi ci sono quelli di spalle, che fanno finta di non vederti e sembrano allontanarsi tanto quanto tu ti avvicini. In modo inversamente proporzionale. E allora sentendoti rifiutato ti sfoghi con quelli che stanno la sotto, sotto i tuoi piedi e che sembrano incollati con l’attack forte. Se tiri su il piede viene su anche il loro, se gli salti sopra sembrano scansarsi ma poi rimangono lì a farsi calpestare. Subiscono e basta. Che personalità del cazzo. A farsi maltrattare così. E’ proprio il caso di dire che si fanno mettere i piedi in testa da tutti. Anche se effettivamente l’unica volta che gli ho visto la testa da vicino è stato quando mi sono chinato a raccogliere il mio specchietto da borsello e, anche se ci ho provato, non sono riuscito a sferrargli un calcio in faccia.
Io sono figlio unico. Mia madre dice per fortuna. Io però ogni tanto incontro mia sorella, mio fratello e qualche altro amico. Mi vengono a trovare quando sono solo e non c’è nessuno in casa. Ecco perché mia madre dice che sono figlio unico. Lei non li ha mai incontrati. Però, dico io, dovrebbe ricordarseli visto che li ha partoriti lei. Dev’ essere il “morso di Alzheimer”. Ho sentito dire che è più pericoloso di quando ti morde una vipera. Praticamente puff… ti si mangia il cervello in tre bocconi. Quando mi vengono a trovare mio fratello, mia sorella e qualche altro amico, di solito ci chiudiamo in camera da letto. Abbiamo bisogno di stare da soli con noi stessi, ogni tanto. Non siamo neanche padroni di litigare con tutti quelli che ci guardano, là fuori.
Mia sorella è una complessata, soffre di solitudine e così ha voluto gli specchi perché dice che le sembra d’essere insieme a tante amiche. Quando ha voglia di fare due chiacchiere si siede per terra in mezzo al corridoio e organizza una conferenza stampa. E’ sempre sicura che parteciperanno in molte. E ha ragione, è sempre affollato là fuori. Mio fratello è un tipo strano, ha dei gusti tutti particolari e non gli piace il mio modo di vestire. L’altra volta si è messo a strillare contro di me perché portavo dei pantaloni di quelli un po’ moderni, quelli con gli strappi per il ricircolo d’aria. Ha detto che gli sembravo un barbone. Allora prima mi ha costretto a togliere tutto, anche i boxer con i dinosauri che mi aveva regalato lui, e poi s’è messo di nuovo ad urlare dicendo che l’avevo lasciato nudo rubandogli i vestiti e che ero uno svergognato ingrato. Gli ho dato il gessato di papà ma non l’ha voluto. Dice che da quando gli hanno messo tre punti sotto al mento l’odore dell’ospedale gli fa venire la nausea.
Il suo amico poi non ne parliamo. Sta tutto il tempo seduto sul mio letto a mangiucchiare pop corn e burro d’arachidi, olive e salatini, pistacchi e cioccolatini, salamini, formaggini, panini imbottiti, trapuntati e con il risvolto. Mi riempie il letto di briciole e poi mi viene da grattarmi tutta la notte dal prurito. Ieri glie l’ho detto: ma lo vedi quanto sei diventato grasso? Sembri un pallone enorme con una palla da bowling al posto della testa. Lui ha smesso di masticare e si è alzato. Si è guardato allo specchio e ha visto che non c’entrava tutto. Allora si è infuriato e mi ha mandato al bagno a pesarmi. Oh, pesavo 117 chili, mica uno scherzo!
Basta! Ho deciso! Adesso mi faccio una bella visita dal dietologo e inizio una dieta seria ed equilibrata, sennò mia sorella non può indossare il bikini la prossima estate. In fondo non mi costa niente, il dottore è un vecchio amico, praticamente siamo cresciuti insieme. Devo solo prendere un appuntamento.
Prima però devo ricordare dove ho messo il camice e il ricettario…







Pazzia. Cos'è?

Quando cammini scotendo la testa e ciondolando le mani, in un muto discorso senza fine? O quando canti a squarciagola sull'autobus o imprechi contro Re Pipino o sei incazzato con Nerone che non aveva, prima di incendiare Roma, costituito il corpo dei Vigili del fuoco? O quando impugni una pistola e fai fuori chi capita a tiro?
Questa è la pazzia? Azioni orribili e orripilanti da una parte e atteggiamenti ridicoli dall'altra?
Allora se questa è pazzia: meno male, io sono sanissimo.
Io non ho mai ucciso nessuno, neanche una mosca. Forse qualche zanzara, d'estate, tanti anni fa quando non capivo, e solo quelle che mi avevano punto. No, non mi piace uccidere le zanzare, poi le rondini morirebbero di fame. Per questo chiudevo la mia sorellina in camera e non la facevo uscire da maggio a settembre. Perché lei le avrebbe uccise le zanzare. Avrebbe comprato quelle bombolette piene di veleno spray o quelle girandole verdi che insudiciano l'aria. Per questo le ho dovuto mettere le goccine nell'acqua. Così lei dormiva e non s'accorgeva se qualche zanzara, per errore, la pungeva.
Io cammino dritto dritto per la strada. Non ciondolo le mani e neanche la testa. Cammino così dritto che se mi cade qualcosa per terra devo applicare il teorema di Pitagora per calcolare il grado di flessione. Quando sono in casa, porto sempre tre-quattro libri in testa per esercitarmi. Però niente classici, o mattoni. Compro solo Liala e Danielle Steel: libri leggeri insomma. Anche se hanno 658 pagine e rilegatura rigida.
A me fanno rabbia quelli che urlano e cantano sugli autobus e non rispettano la legge. “Non parlare al conducente” c'è scritto sulla targa. E a quelli non glie ne frega niente, e quel poveraccio dell'autista deve sopportare tutto e rispondere a domande inopportune. E' per questo che l'altro ieri ho portato il nastro adesivo, quello largo largo, sull'autobus della linea 64. Ho imbavagliato tutti i passeggeri e anche l'autista. Così non potevano dire che era maleducato se non rispondeva alle domande.
Oggi sono rientrato a casa prima del solito. Ho trovato in cortile dei bambini che stavano torturando delle lucertole. Gli tagliavano la coda per vederle muoversi da sole senza il resto del corpo. Allora gli ho detto: vi sembra giusto quello che state facendo? E loro hanno risposto: tanto gli ricresce.
Io non lo sapevo che se si tagliano le code quelle ricrescono. Forse sono come i capelli: più li spunti e più si rinforzano. Allora ho preso il pastore belga di mio zio e gli ho mozzato la coda. Poi gli ho messo la lozione rinforzante ma quello scappava e strillava che non sembrava neanche più un cane. Allora gli ho detto: peggio per te, quando ti ricrescerà la coda, i peli saranno deboli e diventerai pelato.
Poi sono andato su, in camera mia. Ho aperto l'armadio e mi sono salutato nello specchio. Era tutta la mattina che andavo in giro e ancora non mi ero incontrato. Forse ero irritato con me stesso per qualche cosa e non lo sapevo.
Me lo sono chiesto. Non mi sono risposto mica. Ho continuato a guardarmi con questa faccia da scemo senza dire una parola. Certe volte non mi capisco proprio. Non sarebbe meglio parlarne tra me e me, invece di tenermi il broncio da solo?
Bah, chi mi capisce è bravo. Io non voglio più avere a che fare con me, mi sto un po' sul cazzo quando mi comporto così. Quasi quasi la prossima volta che m'incontro mi dò un sacco di botte…







Allora, ho pensato, quando rinasco voglio nascere Napoletana a Coppe

Succede che io, a volte, dico delle cose che non c'entrano niente. E altre volte che le faccio anche, le cose che non c'entrano niente.
E mi capita abbastanza spesso di guardarmi in giro in posti che non c'entrano niente con quello che dico e neanche con quello che faccio; abbastanza spesso mi capita. Poi, penso che non mi capisco proprio. Soprattutto quando mi capiscono gli altri.
Un giorno è successo che ragionavo anche.
L'ho segnato sul calendario quel giorno lì, che non me lo scordo più.
Ho ragionato tutto il giorno, dalla mattina alla sera ho ragionato.
Ragionavo su come correvo tutto il giorno, che c'era anche il sole quel giorno, ma l'avevo incontrato di sfuggita che ero troppo impegnato a correre mentre ragionavo.
Ragionavo che facevo un mucchio di cose, facevo, e che però alla fine della giornata non me ne ricordavo una, del mucchio di cose.
Dopo un pò ho cominciato a ragionare pericoloso.
Che a ragionare pericoloso, è pericolosissimo.
Di fatica ne facevo parecchia che non ero abituato a ragionare pericoloso, io.
Che quando uno inizia a ragionare pericoloso, finisce che fa le cose normali poi. Che sono pericolosissime le cose normali. Pericolosissime, se non ci stai attento. Ma molto, molto, attento ci devi stare.
Che a te qualche volta ti viene un infarto, mi dicevano, l'infarto al cuore ti viene.
Io pensavo che a me l'infarto mi veniva alle orecchie se non la piantavano, alle trombe di eustachio me lo facevano venire, l'infarto.
Che tu qualche volta ti schianti da qualche parte, mi dicevano. Allora io pensavo: meglio schiantati che morti.
Nel senso più vivo del termine, morti.
Che di morti ne conosco un sacco io, di morti, che stanno tutto il giorno a testa china "sissignore" "sissignore" e a correre di qua e di là perché "mi faccia questo" "mi faccia quello" e di nuovo "sissignore" "sissignore".
Allora, dicevo, meglio schiantati che morti "sissignore".
Che io non ho mai fatto una partita al bar, a tresette, tranquillo. Mai.
E alla fine ho pensato che prima o poi, se mi schianto, me la voglio fare poi una partita al bar, a tresette, tranquillo, da schiantato. E non una di quelle col morto. Perché morto non lo sarò mai, neanche da schiantato. Io.
Me la faccio come controparte, me la faccio, ho ragionato pericolosissimo.
E allora, ho pensato, quando rinasco voglio nascere una fighissima Napoletana a Coppe.
Servita.







ECSTASY WRITING
Pillole di scrittura creativa

Elementi per l'identificazione

Denominazione: Laboratori di narrativa
Composizione: 24 incontri settimanali della durata di 120 minuti ognuno
Ogni incontro contiene:
Principi attivi: Analisi dei racconti di autori vari; Elementi portanti nell'architettura di un racconto; Il punto di vista; Il racconto in soggettiva e oggettiva; l'Io narrante; I personaggi; Il romanzo e il racconto; Le trappole; Prove di scrittura e analisi dei testi prodotti dagli allievi.
Eccipienti: Libri; blocchi per appunti; penne a sfera; videocassette e apparecchio TV; commenti personali; tavole rotonde.
Componenti di base: Autori/Insegnanti/Editori.

Indicazioni Terapeutiche
Ecstasy Writing è indicato per la terapia di infezioni batteriche o virali sostenute da germi sensibili alla scrittura, presenti nell'organismo di aspiranti scrittori o scrittori esordienti, quali comunemente si riscontrano nel:
- crampo dello scrittore;
- callo dello scrittore;
- blocco dello scrittore;
- apnea dello scrittore-lettore (ho scritto/letto così di getto che sono rimasto senza fiato)
- problemi alle vie uro-genitali (la pipì la faccio dopo sennò perdo il filo di ciò che sto scrivendo)
- infezioni della pelle e dei tessuti molli (otto ore al giorno sulla sedia con la seduta in formica rigida)
- infezioni enteriche e delle vie biliari (quell'imbecille analfabeta ha già pubblicato due racconti…)

INFORMAZIONI CHE DEVONO ESSERE CONOSCIUTE PRIMA DELL'USO

Controindicazioni:
Ipersensibilità alle bastonate linguistiche dei componenti di base;
Precedenti di ittero e di insufficienza cardiaca a seguito di commenti poco benevoli sui propri scritti.

Precauzioni d'impiego:
Stati confusionali e di depressione profonda sono stati riportati per lo più a seguito di impiego parenterale e non autorizzato del testo “Il dubbio” di Luciano de Crescenzo, molto raramente a seguito di impiego orale dello stesso argomento.
L'insorgenza di tali reazioni è, comunque, più frequente in soggetti con anamnesi di ipersensibilità verso allergeni multipli, quali “La psicopatologia della vita quotidiana” di Sigmund Freud.
In presenza di anafilassi, si consiglia un immediato trattamento con “Le piccole virtù” di Natalia Ginzburg e “il mestiere di scrivere” di Carver.
L'uso prolungato dei laboratori di narrativa può favorire lo sviluppo di microrganismi ultra sensibili, che richiede l'adozione di adeguate misure terapeutiche come laboratori di teatro, cinema, poesia.

Uso in caso di gravidanza:
Studi di riproduzione condotti su cavie umane hanno evidenziato effetti positivi dopo somministrazione di Ecstasy Writing.
Si consiglia cautela, durante l'allattamento, nella scelta dei testi da leggere. Si deve tenere presente la possibilità di reazioni di ipersensibilità in neonati sensibili alla qualità della letteratura somministrata in soluzione con il latte materno.

Interazioni con altri laboratori o interazioni di altro tipo
Come anche altri laboratori di “scrittura”, l'uso di Ecstasy Writing può ridurre l'efficacia di contraccettivi “orali”

Avvertenze speciali:
Ecstasy Writing interferisce sulla capacità di guidare (ma come sono arrivato qua che stavo pensando a tutt'altro?)

ISTRUZIONI PER UNA CORRETTA UTILIZZAZIONE
Dosi, modo e tempo di somministrazione

Adulti, inclusi gli anziani:
1 incontro o lezione da 120 minuti, una volta a settimana. Secondo il tipo e la gravità della malattia, la posologia può essere aumentata fino a 2/3 incontri a settimana di diversi laboratori. Una terapia intensiva giornaliera ,di rinforzo, della durata di una settimana, può essere somministrata ogni estate. Non sono noti casi di problemi da sovradosaggio di Ecstasy Writing.

Bambini:
Per i bambini di peso superiore ai 40 Kg. dovrebbe essere utilizzato lo stesso schema posologico valido per gli adulti.
La posologia base è di 2/3 minuti per ogni Kg. di peso corporeo, da suddividersi in 2 somministrazioni a distanza di 60 ore l'una dall'altra.

Per migliorare l'assorbimento del trattamento e la penetrazione nella materia cerebrale, se ne consiglia la somministrazione subito prima del pasto serale.

EFFETTI COLLATERALI
Gli eventuali effetti collaterali sono rari, e principalmente di grado moderato e di natura transitoria.

Reazioni d'ipersensibilità:
Rash, prurito, orticaria sono stati segnalati occasionalmente e sempre in concomitanza di concorsi o premi letterari. In caso di rash, si consiglia di dimenticare la data in cui saranno comunicati i nomi dei vincitori.
L'incidenza di reazioni cutanee può essere più alta in pazienti con numerosi racconti respinti.
Reazioni gastro-intestinali:
Glossite, nausea, vomito, diarrea, sono stati segnalati:
- dopo prolungate sedute davanti al computer per 10 ore di fila, in inverno, con i termosifoni spenti, il pigiamino leggero, i piedi scalzi;
- a causa di perdite di tempo: cercare le ciabatte, accendere la caldaia, trovare la vestaglia o addirittura andare a dormire adesso che è venuta l'ispirazione;
- dopo aver ingerito, velocemente, davanti allo schermo, un pacchetto di patatine, due crackers al rosmarino, un gianduiotto, tre spicchi d'arancio, un pezzo di gorgonzola vecchio di due settimane, una merendina al latte, una tazza di brodo di carne avanzato dalla cena precedente e un pacchetto di liquirizia nera, senza zucchero, che così non fa male e non ingrassa. Anzi, aiuta a digerire.

Effetti Epatici:
Come con altri laboratori, sono stati segnalati rari casi d'ittero colestatico che, prevalentemente nei pazienti adulti possono anche essere severi: segni e sintomi, di solito, compaiono durante o subito dopo la somministrazione degli incontri, sempre in presenza d'allievi particolarmente dotati e lodati e, in alcuni casi, permangono anche dopo molti giorni.
La pubblicazione di un racconto da parte del soggetto colpito da crisi epatica può portare ad una remissione spontanea e totale dei sintomi in tempi estremamente brevi.

Reazioni del sistema simpatico e neurovegetativo:
molto frequentemente, durante la somministrazione, sono stati segnalati:
- casi di lieve torpore durante conversazioni con amici e/o conoscenti sulle ultime novità editoriali;
- disturbi transitori della visione (si presentano spesso davanti a vetrine di librerie che non espongono il primo libro, pubblicato dal soggetto colpito da tali reazioni, che è pure tanto carino e con una bella copertina);
Sono stati inoltre riferiti sintomi quali:
- turbe dell'accomodazione (non trovo la posizione giusta per scrivere);
- aumento del tono oculare (quando ti sforzi di tenere gli occhi aperti in ufficio dopo una nottata sul computer);
- difficoltà della minzione (non ho tempo);
- stipsi (se non ho tempo per il disturbo precedente figuriamoci per questo);
- sonnolenza (vedi aumento del tono oculare);
- rallentamento dei riflessi muscolari (vedi aumento del tono oculare);
- segni d'interferenza con il sistema nervoso (Ahooo! non rompete mentre scrivo!);
- distrazione costante (che hai detto qualcosa?);
- alterazione dello stato di coscienza;(dove eravamo rimasti?)
e tutta una serie di altri sintomi non classificati che in casi fortunatamente rari possono portare a:
- licenziamento in tronco;
- esclusione dalla vecchia comitiva di amici;
- esclusione dalla formazione titolare;
- multe su mezzi di trasporto;
- perdita della macchina (ma dove l'ho parcheggiata stamattina?);
- perdita del cellulare (ma dove l'ho lasciato?);
- perdita dell'aereo per Milano e coincidenza per New York (e chi glielo dice al capo che arrivo due giorni dopo?) Etc.

Comunicare al vostro insegnante l'eventuale insorgenza di effetti collaterali non descritti nel presente foglio illustrativo.
Scadenza: Non scade.

Prodotto da: James Glob Inc.








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9 Agosto 2006
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