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POESIE
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Clelia Pierangela Pieri
I Racconti
di Clelia Pierangela Pieri



Minuzie


Guardami a modo, toccami
a sperdere l’incolumità.
Senti, è passo di nuovo tango,
gioco d’un fermo immagine.

Era notte forse, certo sogno.
Oggi è buio di verità discinta,
verbo di carezze bagnate
e sottigliezza di vita. Ormai.

Se in questa musica di corda,
se in questo oscuro pensiero
tu, saprai precipitare al fondo
non temere sarà liberazione.

Senza parole o gesti forti,
non l’abitudine né il miele,
basterà il filo d’un pensiero
e osare nel diluvio. Tacere.






Barbarossaplatz

Veniamo a guardarci intorno,
dove la realtà chiama furiosa,
quando vacillano le gambe
e tu, tu sai di birra e bicicletta,
di capelli gialli infranti al bruno
ondeggianti ai muri scalfiti appena.

Guardami più in basso, dove vibro
non fingere gelo e toccami
come hai fatto già, impudente,
guardando l’autobus ancora
a lasciarlo  e poi riperdere.
Sarai vestita di un orrido rosa
io sarò l’ammaliatore d’occhi neri
e non saprò bere birra a scialo
ma  raccontarti di carezze e mare.

Quando inonderò la bocca tua
e tu tracimerai in parole gutturali,
saranno versi a bruciare di limone
tra cosce bianche e amore immaginato.





Nascosta
 
L’agnello accudisce la bestia
e feroce lei resta, si ferma.
Degli attimi dopo è denso colare
di rabbia e d’un misero dado
scagliato a smarrire la vita.
 
Occorre un tempo veloce
nella vergogna che scende
e risale fino su al ghigno.
Nessuna risposta al lancio
mancano i numeri vincenti.
 
La mia pasqua è già qui
la bestia morde, sa graffiare.
Riparo un sorriso rimasto fiero
sarà prezioso forse domani.
Altri domani, altre vicende.








Vascelli

 
Ti giungo trafelata in moto d’animo,
siedo lenta al dunque e assumo il tempo
regalandoti pagliuzze stanche di capelli.
 
E pensieri brevi nella mente
a ragionare finalmente,
che mi dai voce
che alla pelle spargi sale
e forse anche alla vita.
 
Scorgo l’ombra molto prima dell’arrivo
come tu me ne avvertissi, e m’alzo lesta
attenta e tesa allo sciabordio nel buio.
 
Insisti a rimestare all’onda,
crederai nella dimenticanza
e certo nella tua inutilità.
A te, che sei canto che s’invola
io bacerò la bocca che viene e va.






Passerà

 
E la vita passa a stelle che bucano il cuore
quando la pelle avverte uno stupido vibrare
e la morte sorride a tirar di somma.
 
Lecco il tuo cuore a riparar ferite e strazi
come vorrei sapessi farlo tu.
Dammi una sorte questa sera
al freddo ostinato chiamami a te
toccami, rubami
a risata fragorosa che non potrò fermare.
 
Siamo noi, oscura pece,
il desiderio sempre cercato
siamo caverne  paurose
amore terso e negato.
Siamo noi
non t´avvicinare, siamo noi lo sai
siamo chi indossa stracci
e nascostamente sogna il lusso
siamo chi tace ma vorrebbe urlare
siamo noi.
 
Dammi del nero voglio guerra negli occhi
dammi il rosso voglio vergogna sulla pelle
dammi il bianco che tutto annulli
portami il giallo che ho freddo
dammi il verde che sorrido alle solite storie.
 
Vestimi di nero ancora e smettiamola
perché, no, non saró buona.







Rappresentazioni



Desdemona in controcanto
giurò all'amore
e inascoltata, pianse
così il silenzio affievolì la rabbia.

 Furono certo applausi e voci  bisbigliate
che a ritrovarli appesi alle poltrone
fecero piangere il rosso già sdrucito.
 
Vennero poi sorrisi, sbiaditi ormai
dalla vergogna d'essere stata.
Ora necessita d'amore
forte e nuovo al disincanto.
 
E' lì che aspetta, l'abito è indossato.
La voce ancora urla nella mente
poteva esser nuovo amore
restarono soltanto fuochi.
 
Artificiali.






Torino

Dove hai lasciato il cappottino questa notte
e quel sorriso che ti piaceva mettere…
ho filo spinato al petto e mille domande a premere.
Prendilo, il cappottino, andiamo
prima che la rabbia soffochi il mio dire
e il tuo sentire
sintonizzati su nuova musica
e impara ad unir bene asole e bottoni,
troppe volte ne hai perso la parità
e guardandoti di piombo non hai visto
lo sghimbescio del tuo cuore.
Ti sembrerà piccino, il tuo cappotto,
poi diventerà dolcezza
e ti confermerai piccolo anche tu
sarà l'inizio.
Ti aspetto in strada dove ogni riflesso
di vetrina ti farà ridere
di te
e riderò anch'io,
riderò ancora a perdere il respiro.






Così

Mi perdo in uno specchio
e lì m'attardo
a guardarti quando arrivi
stanco, nudo
o vestito d'amarezza.
Dimoro in quel riflesso
a restarti viva ancora
in vetrina d'occhi vanitosi
innocenti o parchi.
Resto
inezia solitaria
riflessa dalla goccia indecisa
ed oltre ancora, alla lente, infranta.
Sarà quando cingerà la vita tua
accesa nuovamente
e la sorprenderò a rimirarsi
fingendo sia il tuo sguardo,
lei.
Sarà allora
l'inutile restare,
tornare o mancare.
Adesso
a cattedrale invento schegge d'oro
e giochi di rubino,
così…
ti aspetto in musica al riflesso d'un bicchiere
caldo della tua saliva
rosso del vino che mi dimentica.
Pur se persa eccomi.
Puoi guardarmi?






Sguardo

Questa sera lei finge musica.
Scrive di sé e del fumo i cerchi,
inanellati al mondo,
avvolgono lucidità e teorie.

Questa sera lei finge sogni.
Pensa di sé, il bicchiere già è rossastro
e inacidisce il labbro
incatenando un verso.

Questa sera io la guardo
e sono a fingere un sorriso
o sono lei.






Fauno

Arriva presto il mio volerti
prezioso e ritrovato senso
in questa tua saliva,
nell'affanno che libero ti sfugge
e seguo in liquido richiamo.
Mio attento Fauno,
è tesoro ancora il tuo sapore
di sale, di notte nascosta
di male...
Vuoi le mie richieste,
prendi i miei vizi
e guardami a questa finestra
riflessa e nebbiosa,
lasciami la seta dei capelli
e non cercare i miei occhi ora.
Ti fai strada tra gli umidi pensieri
ma preferirai tacere ancora
e farmi pioggia.
Nasconderemo questa finta paura
rincorrendo promesse e giuramenti.
Eccomi ora
nelle tue stanze vuote,
ali leggere alla sedia immobile,
nei tuoi fremiti.
Ti voglio osceno e nudo
diventerai paziente.
Mi voglio dolorante,
sacrificata e pazza
nel mio lago, scivolosa,
impalata e fertile Gaia
sottomessa Maddalena.
Hai urlato quel che non mi hai detto
sussurralo, ora.

Inconsapevole piango
nel fare all'amore...
per amore.





Riverbero

Aspetto
a trangugiare il tuo pensiero
e m'attardo dove impellente vibra
sfilacciato in corda.
Indugio a sciogliere i capelli
e immutata icòna osservo
l'antecedente o successivo
che instabili barcollano.
E' corrotta la fragilità
sfregiata dall'indifferenza,
quale potente acido
quale più di questo vetriolo,
quale vita ancora e dove cercare
figlio, padre, amante mio.
Restami in ombra.






Freddo

Aveva il bavero rialzato,
gli occhi a fuggire
e se ne andò
quando
la lasciai andare.

E' storia ferma
all'ultima casella dei ricordi
alle fermate d'autobus nel freddo
dove restano lerci rottami di memoria
e un tempo che a drappeggio di velluto
posa l'urlo su parole bisbigliate
e silenzio all'odio non ancora declinato
all'amore mai raccolto.
Ancora mi si accosta
non mi guarda e fugge
ancora
il gelo di sempre
o forse solo l'esigenza di coprirsi
a bavero rialzato






Rumore

In punta di lama
il tuo rumore m'invade,
ne ingiunge l'ascolto
e riapre la ferita.
Si fa breve il resoconto
e nessun tempo basterà.

Ah, lasciami il pensare
per quel che resta.
La voce limpida la sai,
strappa l'erba
che leggera, lei,piega a malapena
voglio annusarla che resti a profumarmi.
Ruba i ricciolilunghi
e del dopo i corti,
ne voglio veste
a incorniciare mai trascorsi.
E quelle risa nella fame
o i pianti alle figure tristi.
Slacciami i polsi, forse mi porterà con sé,
slegami da questa vita,
ne voglio un'altra, altra storia.
Porta via questa paura.





Canti

Di quel foglio bianco feci carnevale,
le ombre mi diedero riparo,
dai silenzi piovvero conferme
e cristalli accolsero il nettare bramato.
Ne bevvi sorsi delicati, assetati,
ne bevvi alla morte
e canti mi vennero a cercare
e suoni rinvennero alla mente.

Tornò ancora carnevale
e musica e voci adamantine.
Di fuoco avvolta, volli di tanta vita morire.


1a CLASSIFICATA Premio di Poesia “Dai Micenei a Internet” 2006




definizione

Un facile fruscìo
come questo quasi amare
e il desiderio vellutato
appeso a me in quel buio.

Della sera io ricordo e non dovrei.
Arrivava lenta ed empia
a circondar la luce e toglierla di torno
della notte nulla può restare
ché la pretesa salva dal perdono
e nulla voleva esser perdonato.
Ai vetri un bimbo, forse un bimbo
a giocar di vento e foglie.
Sulla pelle un uomo, forse uomo
ad amare d'alito e tristezza.

Mentre dormo, se dormo
guardami
e che non colga quanto tu vedrai.
Ti chiederai quale antro
sia nido ai miei pensieri,
da quali acque le stille di sudore,
a rotolare seguirai
un improvviso tremar di ciglia
ma non t'addolcire...
è animale quel che vedi.

Al bivio di quel che non sono
all'armonico verso della penna
note come passi, solchi verbali
seguono e rincorrono cicatrici
nere d'oblio.
Arpeggio ora e qui... ed esorcizzo
ma vado, inevitabilmente vado.
E' salvatrice la follia,
nei progetti tinti già dell'illusione.




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9 Agosto 2006
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