La sede della sezione del vecchio partito comunista consiste in due piccole
stanze mezzo ammuffite,un water ancora buono per pisciarci dentro, alle pareti
una carta da parati anni 60, pochi quadri, tre poster del Che, uno di
Berlinguer.
Otto ragazzi in tutto, qualche vecchio contadino colle unghie
gialle, due professori di filosofia precari, un impiegato, un disoccupato
quarantenne laureando, e una gran voglia di rompere le palle a una città intera,
impegnata ad affrontare l'ennesimo autunno ed una specie di letargo che nulla ha
dell'animalesco, piuttosto il sonno di una sfiorita Biancaneve ormai schiava dei
nani e che ai principi non crede più.
Ho trent''anni, una renault
bianca, ed un bagaglio di sogni in bianco e nero. Cogli amici gli anni 70
li
abbiamo solo visti nelle foto dei compagni più vecchi, ascoltati dai racconti
dei pochi rimasti a rattoppare le barricate, a ricucire le proprie storie spesso
sordide ma comunque rivestite di un aura
quasi magica, troppo spesso mitica.
Le università occupate, le ragazze ubriache che non portavano mai il reggiseno,
le manifestazioni e gli urli, gli spari e la paura per molti di loro di non
esserci, la speranza cullata fino allo sfinimento di una libertà confusamente
vagheggiata, appena lambita, poi subito perduta, forse per sempre.
Noi della
nostra università ricorderemo solo i mosaici di sprezzante superbia dei baroni,
l'ipocrisia
dei coetanei assorbiti nell'ingranaggio, che ignorano il
disastro, che non sanno ne vogliono sapere
perché ancora qualcuno non accetta
d'essere arruolato nelle file di un occidente che lungi dall'essere l'apostolo
della Civiltà soggioga con la forza del denaro milioni d'esseri umani. Una nuova
cristologia è in agguato. Hanno spodestato Cristo dalla destra di Dio,
svuotandolo dei suoi tratti più grandi, -come sempre i "buoni padri di famiglia"
si avvalgono dell'indiscussa saggezza del Culto per soffocare ogni protesta,
ogni voce che fuori da un coro di eunuchi cerchi di ripensare il mondo cogli
strumenti altri della ragione e della giustizia -; lo hanno ridotto al buon
pastore innocuo e quasi fesso, ne parlano al passato, deridono il concetto di
gratuità dell'amore, volutamente interpretano quei quattro scritti timorosi come
sono d'appartenere alla schiatta dei cinici e dei farisei. L'elemosine fatte
stringendo il bastone, tirando le corde, pronunciando sentenze…
" dicono
che per sognare meglio bisognerebbe allenarsi al sogno, ad occhi aperti magari,
mentre si legge o si mangia o si scopa.", " ma che cazzo dici?", "chi paga il
caffè oggi?" " ma non dovevamo incontrarci per quella manifestazione in favore
di", " fa n'culo tu e quei fighetti degli animalisti", " ma sono nostri alleati"
", saranno i tuoi alleati minchione, io con chi ha più a cuore le sorti di un
procione che quelle di un bambino costretto a lavorare dieci o dodici ore di
fila per cucire quelle merde che loro tengono ai piedi non voglio avere nulla a
che fare", "ok ok non ti scaldare", "hai mai letto Adorno?" "chi?", "lascia
stare ", e tu hai mai visto le foto di Pasolini ammazzato?", no, preferisco
ricordare quelle in cui sorrideva sotto braccio a qualche amico,"ma di Zapata
qualcuno sa qualcosa?" "no, perché dovremmo? e dovremmo si cazzo, c'è anche
l'articolo per il giornale del circolo da terminare". Lasciai la stanza che
ancora discutevano sulla necessità o meno di approfondire la nostra conoscenza
dei rivoluzionari messicani e della possibilità di indire chissà cosa per la
ricorrenza della morte di un compagno semisconosciuto avvenuto per mano anonima
– ma di anonimo negli omicidi politici non c'è mai nulla, anonime semmai sono la
vigliaccheria e la rassegnazione, i boia hanno sempre un nome e un cognome,
delle madri addirittura che li hanno sgravati col dolore e nel sangue, ecco,
magari questa gente non ha reciso nell'incoscio quella primigenia esperienza di
lacerazione e sutura, non hanno rimosso lo sgradevole odore del sangue
placentare, il vischioso liquido gli grava ancora attorno al cuore, per
liberarsene affondano nelle carni estranee, umiliano e stuprano, uccidono ciò a
cui mai si sono rassegnati, la vita.
Torno a casa, la borgata s'è come tinta
di ocra, sempre così quando l'autunno incombe; ad ogni muro un manifesto
elettorale, su ogni spazio un viso ammiccante, una frase ad effetto, una
promessa logora, stantia. La mia renault arranca ma non molla devo cambiare
marcia dico a me stesso, e so di non riferirmi a quelle dell'auto, non si tratta
di spiccare il volo, non voglio diventare un eroe o chissà chi, nessun uomo
dovrebbe mai voler diventare un eroe, e poi cosa significa diventare un eroe?
Farsi ammazzare come un cane o, peggio, immolarsi per difendere le ragioni di
uno stato che barando promette poi di cingere ad ogni caduto il capo con
dell'alloro,la banda in chiesa, i volti contratti – gli stessi dei manifesti
elettorali - , le trite omelie del caso di un sedicente principe della chiesa,
da un pulpito nato esclusivamente per testimoniare un altro grande caduto, il
più innocente o il più colpevole- dipende dai punti di vista- senz'altro il più
scomodo tra le vittime degli omicidi politici…perche questo fu la crocifissione
di Cristo, il più importante omicidio politico nella storia dell'umanità.
Mi
fermo al bar, un caffè e due chiacchiere magari mi serviranno per distrarmi. Ci
sono stati tempi in cui trascorrevo in questo bar metà della mia giornata, gli
inverni soprattutto, che da noi sanno essere miti ma sempre comunque
profondamente cupi, scuri e ventosi. Sono stati giorni felici quelli, tutto
aveva un odore e un gusto ben classificabile, le sigarette amarissime e i caffè
bruciati, le partite interminabili e le risse all'ordine del giorno, le ragazze
disponibili ma non troppo, i baci rari ma intensi, le lingue si cercavano e si
trovavano anche qualche volta, ma dopo uno due giri le bocche si scollavano e le
mani restavano come sospese, vittime di un incantesimo tanto antico quanto
fastidioso: il mito della " brava figlia di mamma" non era intaccato all'epoca
dalla concorrenza sleale del puttanesimo integrale, dall'eccedenza di
disponibilità attuale.
Al bar trovo la stessa ciurma di pensionati e
pensionabili che fanno gazzarra: le tasse il governo il cavaliere, la
sicilianità, l'unicità dei nostri caratteri, l'identità smarrita di quest'isola
che comunque rimane al palo e così discorrendo. Mi apparto e ordino un caffè,
ascolto e non parlo. Non credo nella Sicilia, non credo nei siciliani. Noi non
abbiamo nessuna identità peculiare da difendere, noi abbiamo solo sonno, abbiamo
secoli di scudisciate sulle spalle, siamo oberati dai mari e dalle correnti; noi
siciliani siamo solo onde che nascono spumeggiando e si arrestano mute sulle
battigie porose; è un cammino a ritroso il nostro. Daremo per sempre le spalle
all'orizzonte.
Pago il mio conto, col barista e cogli avventori con l'isola
e con la politica. La vita è un saldare debiti continuo, non serve appartare le
proprie anime o le intelligenze, non serve nascondersi, nella quotidianità c'è
tutto il peso dell'esserci, ogni gesto ha un suo peso specifico, come ogni
essere vivente la sua tara immodificabile. Certi destini incrociandosi sfuggono
alla vocazione gestionale del cervello, creando solchi profondi e invalicabili;
davvero Dio ci ha messo lo zampino.
Una volta un vecchio mi raccontò
proprio in questo bar della sua guerra, si sussurrava che fosse stato in
gioventù un partigiano, mi disse del freddo provato e della fame patita nei
boschi di una regione del nord. Mi raccontò che alcuni la notte piangevano, e
nessuno mai per questo li derise, mi raccontò di uomini che usavano il mitra
come le zappe, che trucidarono altri uomini con la stessa determinatezza con la
quale ci si soffia il naso o si caccia una mosca, mi spiegò che dall'origine del
mondo ad ora nulla è poi mutato; "gli uomini sono programmati all'amore?
Lascialo credere ai preti per quanto anche loro… lascialo credere alle belle
coscienze, noi - e intendeva noi comunisti -, siamo fatti diversamente, e come
noi tanti, crediamo ad un amore che non abbia paura del silenzio, che non
necessiti di riti e complesse elucubrazioni, ma non ci illudiamo circa la natura
del male. I demoni esistono ma non ne sentiremo mai lo scalpiccio degli zoccoli,
semmai il tonfo degli stivali, il tintinnare delle monete, la retorica ad uso
domestico di finti valori da sempre spacciati come imprescindibili doveri". Lo
ascoltavo rapito e stizzito allo stesso modo, quel vecchio aveva una giacchetta
di lana grossa e un volto bello, le sue mani erano curate e i suoi denti ancora
forti, temevo di appassionarmi a delle bugie – solo in seguito capii che questo
era ciò che avrei fatto per tutta la vita- , aspiravo le zaffate di fumo del suo
toscano il cui odore mi seduceva e ben si sposava riflettei con quello forte del
caffè - ancora oggi il fumo del toscano è un vizio a cui non riesco a dire no-
poi un giorno mi dissero che lo "svitato" era morto. Viveva da solo in un
alloggio popolare. scoprii così che era laureato in filosofia, e che l'aveva
insegnata pure, per tanti anni presso un liceo del continente. Chissà cosa
spinse il professore a tornare in Sicilia, chissà perché decise di raccontare la
sua verità proprio a me. Cercai di ricordare una sua affermazione circa
l'impossibilità di una pace duratura nell'animo umano, non vi riuscii, ma dopo
tutto non era un gran male, come diceva sempre lui " primo: non rimanere mai
prigioniero delle parole".
Adesso è ora di congedare questo giorno.
Il fumo delle pentole nella cucina della mia casa sostituirà a dovere lo statico
umidore delle sere di novembre. Poi, dopo la cena, sarà bello rileggere alcuni
vecchi versi di Pavese tipo " che diremo stasera all'amico che dorme?"…Tra pochi
giorni è il mio compleanno."la parola più tenue ci sale alle labbra dalla pena
più atroce. Guarderemo l'amico, le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso ." Poi tacere, spegnere la luce, spegnere il mondo".
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