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Gli Altri Libri   12 - 34 - 5

Paolo Ivan Tona

Improvvisi

- 2009

Francesca Pellegrino


Dimentico sempre di dare l'acqua ai sogni

Un apprezzamento per Francesca Pellegrino
Mi capita spesso di ricevere una raccolta di “poesie” in cui ritrovo l’abituale andazzo della mediocrità o peggio. Probabilmente una volta all’anno mi succede di leggere qualcosa di migliore in cui mi accorgo che l’autore non ha usato la fretta. E ogni dieci anni un autore sconosciuto brilla con un’opera che cattura subito la mia attenzione, che alle prime prove è di dare acqua alla siccità nel mondo della poesia. Argomento di sempre del sottoscritto - difficile d’accontentare come lettore e autore - sulla situazione che l’esercito di parolieri presenta. La decennale folgore è dell’anno scorso. Con l’organizzatore della Libraria Padovana Editrice e con il sostegno della Chelsea Editions si è fondato “Donne in poesia”, piccola collana di plaquettes, soltanto due per anno, distribuita in omaggio a editori redattori scrittori associazioni letterarie e a chi la richiede. È sempre stata mia opinione, per certuni errata, che la creatività femminile, in parte presa sottomano nella valutazione, è emarginata molto più di quella maschile: la cui autosuperiorità si evidenzia sminuita allorché l’opera di un’artista femminile annienta quella proveniente dall’esercito di pretendenti. Infatti, la critica finge di non accorgersene recensendo invece le solite nullità. “Donne in poesia”, diretta da Elisa Davoglio, idealmente è lo spazio dedicato alle donne fino all’età di trentacinque anni che vogliano sottoporre le loro brevi sillogi inedite. Proponendo le due selezionate, stilisticamente e cromaticamente opposte, la folgore mi colpisce sulle strade per Bologna e per Taranto E qui mi soffermo sulla poetessa del sud perché di lei si tratta. Con L’Enunciato, Francesca Pellegrino, di Taranto, fa l’iniziale capolino nel mondo stampato. La prima raccolta, Dimentico sempre di dare l’acqua ai sogni, è un’entrata chiassosa, che mi cattura per il linguaggio diretto, veloce, di una femminilità che assimila e brucia il dramma della totale esperienza di tinte chiare e fosche, a volte tenero, a volte gradasso per nascondere la fragilità dell’essere, immaginativo, prepotente, qua e là surrealista e volitivo quanto credo sia la personalità della poeta. Altri lettori abituati al sonoro scialbo, sbagliando possono scambiare il suo frastuono armonioso per prosastico. Tra poesia e prosa c’è l’arte della invisibilità che separa e unisce. Soltanto il lettore progredito di sensibilità, non di quantità libraria, è certo di quella invisibilità. Un altro aspetto della Pellegrino è che non ripete il messaggio precedente perché lo stile, che le appartiene sin dalle origini per naturalezza matura, varia per naturale animosità verso canoni strausati. Personalmente punto su questa prima opera sostenuta da una Editrice che non chiede all’autore di professione geometra un contributo e, in attesa, senza riserve, punto su quelle future. Con la certezza che anche ne pubblicasse una dozzina, ciascuna opera, come quelle di grandi autori, risulterebbe varia e di un tonale adatto al materiale che la randagia poeta grida al deserto mentre disegna strade e viadotti che lei stessa per prima pellegrina.
Alfredo de Palchi
New York, NY, 23 gennaio 2009

ISBN: 978-88-6096-319-2
Prezzo: € 12,00
Categoria: Poesie
Anno 2009, Pagine: 72

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Titti Giuliani Foti

Cara mamma

Prefazione di Dacia Maraini, postfazione di Marcello Mancini, Sassoscritto Editore, 20.00 €

Copertina di Elisabetta Rogai

P.S.
Cara Mamma ha  finalità benefiche.



“Perché tante accettano sofferenze inaccettabili quasi fosse un destino ineluttabile? Perché spesso si fanno trattare come le ultime della terra? Perché le sofferenze di cui parli a volte sembrano venire cercate e inseguite con accanimento come se, appunto, fossero alla base di una espiazione che non si estingue mai?”

Dacia Maraini
 

http://www.sassoscrittoeditore.it/catalogo.php?libro=25
Recensione a cura di Rosanna Rebuffo

Sobrio,linguisticamente elaborato,poiché scorrendo le pagine ritroviamo anche l'uso di allitterazioni e citazioni letterarie,analitico nei dettagli,a volte quasi ermetico per  l'abbondanza di metafore,così qualificherei lo stile con cui è scritto Tapinambour,ultima creazione di Ezio Dadone.
A fare da scenario al romanzo è la città di Torino,vista nelle sue mille sfaccettature,da cui emergono tre realtà.
Da un lato quella borghese-perbenista a cui appartiene Marcella Montefiorini,ingegnere edile,impiegata all'ufficio tecnico del comune,persona che dalla vita ha sempre trovato tutto facile,di riflesso quindi egoista per natura e miope verso il resto del mondo.
Dall'altro quella del duro lavoro di fabbrica del metalmeccanico Giacomo Nicolosi,che descriverei come un eclettico curioso,coraggioso ma anche molto orgoglioso,fin dalla nascita.A tal proposito mi torna alla mente la descrizione in cui da piccino,dopo aver ricevuto in dono "Il piccolo elettrico"inizia ad ingegnarsi con zelo e dedizione per creare energia elettrica e quanto la bocciatura del padre per l'esperimento non riuscito gli sia bruciata per anni a conferma di come già allora fosse caratterizzato da una personalità incapace di perdere.
In ultimo,ma non per importanza,troviamo il misterioso mondo Rom,che per certi versi affascina e per altri spaventa.
Apparentemente,ad una prima lettura frettolosa,questi mondi possono sembrare distanti,incongruenti l'uno con l'altro,addirittura può risultare quasi fastidioso cercare il leit-motiv che li leghi,invece con una lettura ragionata si scopre come dopo un fatto drammatico queste vite si intrecciano,si stravolgono talmente tanto a vicenda che,come dice bene l'autore:".A un certo punto si spalanca una finestra sul mare increspato dal cattivo umore dell'inverno e quell'ubriacatura che fa presumere le cose che si stanno facendo come se fossero piuttosto importanti,come se servissero davvero a molti,è svanita."
Ogni vita che viene raccontata è psicologicamente densa,deve essere sviscerata nel suo esistere poiché ritengo nasca dalla consapevolezza che la realtà è romanzesca,è un groviglio di causali che debilita la ragione stessa,in cui spesso non si riesce a mettere la parola fine,perché si aggiunge sempre un nuovo tassello,infatti,non a caso,Dadone lascia un finale aperto.
Tuttavia,in un gioco di vorticosa simmetria l'equivalente luogo della scrittura che alleggerisce situazioni e drammatiche,e divertenti è la sua dissoluzione azzarderei a volte quasi parodica.     
Per questi aspetti di scrittura e similitudini con la vita del suo autore accosterei Tapinambour ai romanzi del prestigioso e poliedrico Ingegner Gadda,senza però ritrovare in esso espressioni del gergo dialettale.
Queste poche righe non hanno assolutamente la presunzione di fare della critica letteraria,dato che non conosco la poetica di Dadone,vogliono semplicemente lasciare una traccia,magari per qualcuno un po' noisa,fornire delle impressioni soggettive su un'opera a cui mi sono avvicinata per pura curiosità verso il titolo un po' buffo e su cui penso fermamente ci sia ancora molto da dire e da scrivere poiché è ancora giovane,"in fieri" nel panorama letterario contemporaneo,ambiente in cui anche le migliori fatiche letterarie non sempre sono capite e apprezzate nell'immediato,ma riscoperte e quindi rivalutate negli anni. 
Ad Ezio Dadone il mio sincero augurio di meritato apprezzamento di pubblico.
A tutti coloro che vorranno dare anche solo una sbirciatina al testo il personale consiglio di non limitarsi ad una lettura superficiale tipica del ciarbottar di porta delle comari,ma di assaporare le pagine con calma,solo così riusciranno a coglierne la vera essenza.
Termino con il bel quesito posto nella conclusione dall'autore,che mi auguro smuova le coscienze a riflettere,pur non leggendo Tapinambour:"Chi è che,almeno una volta nella vita,non trova un buon motivo per gettare al vento un luccicone?"           

Tapinambour
di Dadone Ezio
Prezzo: 10,00 

Editore: Altromondo (Padova)
Collana: Iride
Pagine: 106
Anno: 2008
ISBN: 9788862810494
www.altromondoeditore.com

Illustrazioni di Roberto Di Costanzo.

Labirinti, di Fortuna Della Porta

Collana: Narrativa Contemporanea



Edizioni Kult Virtual Press - http://www.kultvirtualpress.com

Responsabile editoriale Marco Giorgini, Via Malagoli, 23 - Modena



Eleonora Ruffo Giordani


Fiori d’Anima

silloge poetica

Vitale Edizioni

Chi è interessato può richiederlo
a questo indirizzo di posta elettronica

 eleonoraruffogiordani@live.it

http://www.eleonoraruffogiordani.splinder.com/


CENTO CANTANTI DELLA RADIO ITALIANA


di Andrea Carisi

Un volume che racchiude la ricerca e le notizie storico-fotografiche di alcuni dei più importanti e celebri nomi della canzone italiana che hanno caratterizzato gli anni antecedenti e subito successivi la Seconda Guerra Mondiale, quando ancora non esisteva la TV e si esaltava il fascino della radio.

http://www.massimolombardoeditore.it/libri.html

A trattenere a morsi la tua idea

di Nuccia Di Giuseppe

Libro RACCONTI 168 pagine
Copertina Morbida - Formato 15x23 - bianco e nero

Introduzione

Nuccia Di Giuseppe è una donna, ancor prima di essere artista,
funambola della parola e trapezista dei canti dell'anima.
Ho incontrato lei, in ogni anfratto dei suoi versi che sanno per-
correre la schiena, fremere sulla pelle, introdursi nei percorsi della
memoria di ognuno per farsi, da semplice parola, a percorso _sico
di senso, di emozione, di sentimento.
Questa è la grande capacità nel suo essere donna prima, e scrittrice,
poi.
Le sue parole si alternano come tasselli, frantumi sparsi, pronti a
ricomporsi in scenari che da lei arrivano a noi per appartenerci, per
diventare scheggia della nostra emozione e delle vicende umane che
di noi sono parte. Non tracce sulla sabbia, ma lividi destinati a
non scomparire.

Patrizia Cadau

ilmiolibro.it





Le ragioni di Sciascia


di Pietro Macaluso


Il sito   http://www.leragionidisciascia.it/

Antonino Sciascia nacque a Canicattì, in Sicilia, il 19 novembre del 1839, si laureò in Medicina a Palermo, a vent’anni e sette mesi, il 19 luglio del 1860, mentre il 5 luglio 1869 conseguì la laurea in Chirurgia.
Dedicò buona parte della sua vita a studiare e perfezionare un suo metodo di cura, che volle chiamare: fototerapia. Per realizzare la sua intuizione mise a punto un apparecchio: il fotocauterio, in grado di selezionare e concentrare l’energia luminosa, in modo tale da poter utilizzare le proprietà curative della luce su molte patologie.
Con questo apparecchio Sciascia riuscì a dare una valida risposta al lupus vulgaris, ad alcune forme di tubercolosi e ad altre malattie allora incurabili.
Sciascia brevettò il suo apparecchio nel 1894 in Italia, Francia, Inghilterra e forse negli Stati Uniti d’America. Nel 1892 a Palermo e nel 1894 a Roma, Sciascia annunciò la sua scoperta, ma nessuno nel mondo accademico italiano prese sul serio la sua comunicazione, con il risultato che circa dieci anni dopo, un medico danese, Niels Ryeberg Finsen, si vide attribuire nel 1903 il premio Nobel per la medicina per la medesima scoperta fatta da Sciascia in precedenza.
E’ provato che Finsen era presente a Roma quando Sciascia annunciò la sua scoperta ed è probabile che abbia potuto studiare a Parigi l’apparecchio ideato da Sciascia perché il fotocauterio era stato posto in vendita da Sciascia in quella città e veniva pubblicizzato sulla stampa parigina.
Nel 1902 Sciascia pubblicò un suo trattato sulla Fototerapia ma ancora una volta il mondo accademico italiano volle ignorarlo per inneggiare alla novità quando questa rientrò in Italia come un’importante scoperta fatta all’estero. Da quel momento in poi Sciascia non volle più partecipare ad altri eventi scientifici, si ritirò nella sua Canicattì, dove continuò a curare, spesso gratuitamente, i suoi malati.
Solo e amareggiato Sciascia si spense nel suo paese natale il 12 aprile 1925.



GIUSEPPE BUTERA

La mia Landau
(ed altre storie)


Gli emigranti finiscono spesso con lo sviluppare una doppia natura. Qualcosa a metà fra la necessità di sopravvivere ed il piacere di perdersi in una nuova realtà. Nel caso di Giuseppe Butera, medico, emigrante, siculo-brasiliano, questo dualismo si manifesta narrativamente sotto forma di due cicli principali: quello “sudamericano” della Landau e quello, di ambientazione agrigentina, di Giovanna. Possiamo seguire le peripezie di una rombante Landau sulle sconquassate strade di un sudamerica anni '60, o dilettarci con i ragionamenti, apparentemente ingenui, di Giovanna Fonseca, seguendola pigramente, le mani in tasca, tra il cielo azzurro e la terra bruciata di una Sicilia che forse non esiste più; qualunque strada decidiamo di prendere, troveremo comunque in Giuseppe Butera un anfitrione cortese ed un narratore affascinante e spiritoso, teneramente disincantato ed attento a non prendersi mai eccessivamente sul serio. (Marco R. Capelli)

L'AUTORE
Giuseppe Butera è nato ad Agrigento.Da giovane ha viaggiato molto ed ora vive in Brasile, esercitando la professione di medico e insegnante di Neuromorfologia presso l'Universita' del Brasile .Conosce numerose lingue e scrive in portoghese e in italiano.La sua molteplice attività letteraria si esprime nella poesia, nella critica letteraria e soprattutto nella prosa e nei racconti.Da qualche tempo in qua cerca di ricuperare, dal marasma di lingue sorelle (portoghese e castigliano), la lingua madre (italiana) e anche quella primordiale (siciliana), scrivendo poesie e racconti da sottoporre al vaglio di nuovi amici e lettori sorti dagli spazi magici d'Internet.
Di particolare pregio sono i suoi racconti, in parte autobiografici. I Racconti della Landau sono e costruiti intorno alle peripezie di una vecchia Landau (auto che lo scrittore possiede realmente).
Altro importante Romanzo pubblicato dall'Autore in due lingue :"La fine della paura" (in italiano) - "O fim do medo" (in portoghese).


Dammi la tua notte

    San Valentino 2008


a cura di Guglielmo Tocco

 contiene le poesie in piazza del 2007


    Realizzato con la collaborazione di Infinity Media

scarica il libro in PDF



Giorgio Michelangeli
Dolseur e altri racconti
Sandro Teti Editore
collana ZigZag diretta da Mario Geymonat
pp. 155 € 8,00
www.sandrotetieditore.it
Mi chiamo Nestor Lorca e quello che ho fatto è inenarrabile così dopo tre frasi fortemente
cadenzate si apre il primo di questi quattro racconti. Un incipit in cui Giorgio Michelangeli riesce a
concentrare i due elementi portanti del racconto il mare, richiamato attraverso il suo ritmo, e una
storia di violenza che si dipanerà lentamente. Scrittore giovanissimo – ventidue anni – Michelangeli
dimostra in questa opera d’esordio una naturale capacità di creare atmosfere e ambientazioni
attraverso pochi tratti. Un linguaggio decisamente evocativo dà consistenza a una caratterizzazione
ancora fortemente postmoderna, ma con delle innovazioni che germogliano da dentro. Si nota una
libera trattazione delle categorie spazio-temporali, l’inserimento di elementi “incongrui” rispetto al
contesto, ma ben amalgamati da una scrittura che, nonostante la sua acerbità, e l’indulgere in
qualche ingenuità, rimane incessantemente altalenante tra adesione e distacco rispetto alla materia
narrativa. Il risultato è un effetto straniante che permane in tutta la narrazione e che determina il fi l
rouge dei quattro racconti, altrimenti molto lontani per tematiche e paesaggio. L’inserimento di
parti poetiche, l’uso del narratore interno evidenziato dal corsivo, dissociato dall’io narrante, come
fosse una voce fuori campo, rimandano da una parte a Baricco, in particolare di Oceano Mare, ma
al tempo stesso lo reinterpretano ampliando la riflessione metanarrativa e arrivando ad attingere al
mondo cinematografico e alla filosofia zen. Prendiamo Sabbia e vento, il racconto più lungo: in
un’ambientazione tipica del film western si avverte qualcosa di dissonante che incuriosisce il lettore
e lo spinge a non lasciare la pagina. Come in Dead Man di Jarmush, un’atmosfera di fondo rimanda
a un genere definito, a un’ambientazione precisa, ma al tempo stesso la contraddice, sfumando nel
surreale. Michelangeli ci riporta subito attraverso i pochi versi iniziali al luogo dell’azione
soprattutto quando scrive in un perpetuo moto di sabbia e vento. Come non pensare a quei campi
lunghi sullo spazio sconfinato in cui il vento soffia basso e crea palle di polvere e cespugli secchi?
Subito dopo l’inquadratura si restringe fino a entrare dentro una locanda sul fiume dove si sta
giocando a carte e si beve whisky. Altro topos della tradizione di genere. Compaiono i primi
personaggi, i loro nomi non lasciano spazio all’immaginazione e rafforzano la convinzione di essere
dentro un film di Sergio Leone. Ma già nella terza pagina appare un’orchestra nera che suona jazz, è
il primo vero spiazzamento. I toni drammatici e assoluti dei personaggi fanno il resto.
Un libro da gustare lentamente, andando alla ricerca di riferimenti e reinterpretazioni in un gioco di
rimandi cinematografici, letterari e d’attualità.

nuvole in transito...”.



Mario Lucrezio Reali
L'uomo a quanti
Sandro Teti Editore
collana Zig Zag diretta da Mario Geymonat
2008
pp. 205 € 10,00
Un getto continuo di frasi sapienti, pensieri profondi su noi stessi, sul nostro vivere il mondo. Con
L'uomo a quanti, edito da Sandro Teti e pubblicato nel maggio di quest'anno nella collana di
narrativa e poesia Zig Zag con l'introduzione di Paolo Lagazzi, il chimico-poeta Mario Lucrezio
Reali completa la sua vibrante trilogia poetica, resa affascinante prima di quest'ultimo tassello dal
bellissimo paesaggio di un Tramonto in Europa (2006) e dal velato urlo dell'umana Anima corrotta
(2007). Ciò che più di ogni altra cosa sorprende de L'uomo a quanti è l'energia con cui l'autore si
destreggia tra le parole e le tematiche trattate. Una forza tale da mettere in discussione le nostre
stesse abitudini, il nostro parlare, i principi dell'ermeneutica. Una raccolta di versi composta di dieci
parti. Il tempo è quello delle esperienze vissute dal Reali tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi
del Duemila. Nel mezzo ci sono sentimenti, ricordi, passioni, pianti, ritratti. I ritratti, appunto:
quello di Angelina Cruscanti, madre del poeta ricordata con una lirica commovente, La morte
dell'astronauta, in memoria del famoso Yuri Gagarin, Ad Andrej Sacharov, celebre fisico nucleare
sovietico insignito del premio Nobel per la Pace nel 1975, 22 agosto 1927, dedicata a Sacco e
Vanzetti, operai anarchici italiani emigrati negli USA. Altra dominante è quella dei luoghi: città
come Mosca, Roma, Praga, Venezia, ma anche piccoli centri, borghi antichi. Tra questi
Perede'lkino, località nei dintorni della capitale russa abitata prevalentemente da intellettuali, le
scogliere dell'isola d'Elba, la Val di Chiana tra Arezzo e Siena. La prosa rispecchia così
inevitabilmente l'andamento discontinuo, a intermittenze, della vita. Le parole vagano alla ricerca di
punti fermi, i nessi sintattici e semantici collidono con la naturale instabilità dell'esistenza. Vi sono,
però, anche momenti di pace, di serenità. Il Reali delle poesie d'amore, de La ragazza d'ambra e
delle canzonetti finali, gioca col brivido erotico dell'innamoramento. Anche qui tornano volti
conosciuti, quelli delle donne amate in passato. “Tutto lo svolgimento della raccolta ─ commenta
Paolo Lagazzi ─ conferma il carattere necessariamente paradossale e contradditorio di questa
visione. Anocra una volta l'immaginario poetico di Reali svaria tra paesaggi, occasioni e incontri
che sono toccate e fughe di inqaudrature, linee a zig zag, intarsi di forme elastiche e mutevoli come




Mauro Pisini

Meteora (Stelle brevi)
Sandro Teti Editore
collana Zig Zag diretta da Mario Geymonat
2008
pp. 133 € 10,00
Meteora (Stelle brevi) è la nuova raccolta di poesie del latinista Mauro Pisini, professore di
Letteratura Latina Liturgica presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma. Come ha scritto
Mario Geymonat nella prefazione al libro, l'autore si misura con un'antologia a lungo meditata. I
testi originali in latino si sostanziano ad anelli concentrici attorno al fulcro di tre poemetti, Tonsor,
Periculum e Rutilius Namatianus, seguiti dalle versioni italiane di Chiara Savini. Pisini definisce i
testi italiani a fronte “versioni”, “tentativi di…”, non parlando propriamente di traduzioni. Precisa
di aver lavorato molto affinché la lingua delle stesse non avesse la stabilità del testo latino, ma
“gradi diversi di percezione”. Per questo, non vorrebbe che le versioni fossero lette come una copia
dell’originale, ma come “qualcosa” che, in forma di bozza, garantisca i contorni e una diversa
prospettiva dell’originale stesso. La versione italiana, infatti, funge da guida parziale, da specchio o
chiave per entrare – secondo le intenzioni del poeta – nel testo latino, la cui lingua è ancora capace
di parlare al lettore odierno. Meteora attinge al Lexicon recentis Latinitatis dell'autorevole abate
Carlo Egger. Si muove all’interno della tradizione metrica più alta – Catullo, Orazio, Tibullo,
Ovidio – e riprende la lirica umanistica. Al tempo stesso accoglie una serie di parole che si uniscono
alla complessiva musicalità dei versi e che risultano indispensabili per esprimere i concetti più
attuali. Nicola Scapecchi negli Appunti all'interno del volume parla di una poesia densa di
paesaggio, riflessioni intense e scoperte amare, orizzonti e speranze deluse espresse con una
notevole capacità di penetrazione psicologica. Dopo La confidenza illuminante (1987) e Cronache
di un mese oscuro (1999) – per la poesia italiana – e Murmura noctis (1993) e Album (2006) – per la
poesia latina – in Meteora le emozioni si rincorrono senza pausa, specchiandosi nella doppia anima
di Pisini, che, diviso fra una naturale vocazione alla lingua latina e l'italiano, offre al lettore la
possibilità di scegliere in quale dei due mondi perdersi.

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9 Agosto 2006
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