Circolo Culturale il Gattopardo
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Vittorio
Trentini
TRA DUE TERRE Cento anni di una famiglia marinara Romanzo - Storico Collaborazione di Giuseppe Todaro Prefazione di Andrea Camilleri Devo confessare la mia assoluta
incapacità di vedere, nel suo complesso, il grande affresco della Storia. Mi è
sempre parso un disegno demenziale, concepito dal personaggio ebete de “L'urlo e
il furore” di Paulkner. E di conseguenza ho sempre ritenuto che il detto
“historia magistra vitae” fosse una solenne baggianata: non insegna niente a
nessuno, la Storia, altrimenti dopo la guerra di Troia non ci sarebbero state
più guerre. La Stona non è altro che il diario di
bordo del percorso dell'umanità e non può perciò fare altro che registrare
questo accidentato cammino fatto tutto d'ombre e di rare, scarsissime
luci.Riesco invece a vedere, e bene, le singole tessere del mosaico, i dettagli,
i particolari, vale a dire le storie minimali di un paese, di una famiglia, di
un uomo.Per ricorrere a una metafora di Sciascia, dell'albero della Storia vedo
solo le foglie, non i rami, non il tronco, non le radici. Ed è per questo che ho letto con molto
interesse il volumetto di Vittorio Trentini, intitolato “Tra due terre”, che è
la storia di cento anni di una famiglia marinara, i Todaro. Il libro narra le
alterne vicende della famiglia: i Todaro riescono ad acquistare delle paranze,
poi le perdono per una serie di eventi sfortunati, ma essi sono pronti a
ricominciare da capo, affrontano le difficoltà con fermezza d'animo e
coraggio. Pare, in certe pagine, di leggere la
cronaca di una realtà che il Verga avrebbe poi innalzate a grandissimo livello
d'arte. In sostanza si tratta del racconto di una famiglia di marinai onesti e
laboriosi, di quella razza di lavoratori che costituiscono la forza, la spina
dorsale di un paese. Come, per nostra fortuna, ce ne sono state, e ce ne sono,
tantissime altre. Ma all'interno del libro di Trentini c'è un vero e proprio
enigma. Perché in questa famiglia dalla condotta limpida e lineare, nasce nel
1919, e mi scuso se faccio ricorso a un abusatissimo modo di dire, la classica
“pecora nera”. In parte, si. Ma egli, a un certo
momento compie un gesto che indubbiamente riscatta l'impostura. Ne! 1944,
internato dai tedeschi nel campo di concentramento di Fossoli, per uscirne Si
arruolò tra le famigerate “Brigate nere”, pur non essendo di fede fascista. A
Fossoli aveva conosciuto Luciano Luppi e i due erano diventati amici. Spesso
Placido andava a trovare la famiglia Luppi a Soliera che distava una
ventina di chilometri da Castelfranco Emilia dove c'era il comando della brigata
alla quale apparteneva. Ma nel tragitto si spogliava della divisa fascista e
indossava i falsi panni di ufficiale di marina. Un giorno i tedeschi catturarono
un fratello di Luciano Luppi, Azor, renitente alla leva, e un suo amico e li
portarono all'Accademia militare di Modena. Informato del fatto dai
disperati familiari, Placido indossò la divisa di ufficiale di marina con tutte
le finte decorazioni e, d'autorità, rischiando la pelle, si fece consegnare i
due prigionieri che poi accompagnò nelle loro case. Probabilmente Ia sua tragica
fine (venne ucciso da due sconosciuti) poco tempo dopo non è stata
che Ia vendetta di coloro che erano stati da lui beffati. Mi torna vivissimo
alla mente un libro di Indro Montanelli, dal quale poi De Sica trasse un bel
film. Si intitola: ”II Generale Della Rovere”. E' la storia di un mistificatore
che si spaccia per generale. Arrestato dai tedeschi che lo credono un vero,
importante militare, non rivela la sua identità per non deludere i suoi compagni
di prigionia ai quali ha saputo dare, con le sue parole, conforto, dignità,
orgoglio. E muore da eroe, da vero generale, davanti al plotone di
esecuzione.
Prof. Andrea Camilleri |
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